Il guardiano del faro

Una poesia, un racconto, una magia. Direttamente dal Laboratorio, un pezzo di mare cittadino dalla penna di Canadria.

 
Il guardiano del faro ha le orecchie piccole e un naso schiacciato con cui sente l’odore del mare.
Conosce l’odore della tempesta e del mare lungo e, nelle orecchie piccole come conchiglie, si arrotola lo sciabordio delle onde lente sulle pietre basse delle prime scale.
Gli occhi rossi per il sale ed il sole, per la veglia sul mare, per la nostalgia e la malinconia, nascondono pupille che reagiscono ad ogni tocco di luce e ora si allargano e ora si stringono mentre l’ombra del guardiano si staglia nell’acqua e poi vi sprofonda e sparisce.
 
Così, il guardiano è una presenza d’ombra che c’è e sparisce nel tempo di un lampo di luce.
Conosce i suoni viscerali e le urla d’amore degli animali acquatici che gonfiano la pancia per sbuffargli un segno di saluto. Il guardiano del faro piega d’un colpo il suo sguardo dritto e ne smorza il rigore con un cenno del capo.
 
Il faro incrina le onde e resiste, di pietra, agli urti scomposti dei pesci sulle fondamenta profonde. Statua alla solitudine e al suo solitario guardiano. Rimane così, a sempiterna memoria.
Anche adesso che non giova più che un uomo sorvegli una luce.
Anche adesso che non serve che un uomo viva lontano dal mondo perché il mondo possa passargli davanti senza sbattergli contro.
Anche adesso che il guardiano del faro abita al terzo piano del mio stesso palazzo.
 
Ogni tanto s’affaccia e sospira e annaffia le piante in balcone, se io lo saluto, lui non ricambia. Forse non mi sente, perché nelle orecchie di conchiglia si arrotola ancora il rumore del mare. Forse non risponde perché la bocca ha scordato come si fa a parlare.
 
Per questo mi ha stupito, stamattina, quando ha bussato alla mia porta.
Io ho chiesto «Chi è?» e lui ha risposto «Il guardiano del faro».
Ho creduto che non ricordasse neppure più il suo nome, non avendolo nominato nessuno per tant’anni.
Allora ho aperto la porta, e il guardiano del faro ha sorriso con la bocca chiusa nascosta nella barba incolta e coi suoi occhi di seppia mi ha guardato curioso e timoroso, e tra le mani aveva una ciotola di ceramica grossa quanto un fondo di bottiglia.
«Mi dica, ha bisogno di qualcosa?»
«Avete del sale? L’ho terminato.»
La voce roca e – di potenziale – tonante, riusciva flebile e dolce e frusciava ora avanti e ora indietro.
«Certo.»
Così un uomo di mare veniva a cercare del sale in casa mia.
Non era poi questa gran meraviglia: in città non poteva trovarne abbastanza per le sue necessità, lui che era abituato a viverne circondato.
Ho rovesciato nella sua ciotola bianca buona parte di quanto ne avevo e quello mi ha ringraziato con gli occhi neri stretti.
Mentre risaliva le scale del pianerottolo l’ho visto assaggiarne un po’ con le dita.
 
Da tre minuti piove acqua in gran quantità sul mio balcone.
Non ho dubbi che sia lui.
Allungo un dito sotto la pioggia e quando lo metto in bocca già so che sapore sentirò: è acqua salata.
 
Il guardiano del faro è affacciato al balcone e i suoi occhi di seppia guardano all’orizzonte una Milano soffocata dal sole di agosto.
Ha l’acqua alle ginocchia e i piedi sommersi in granelli di sale. Respira forte e muove le caviglie e così l’acqua dondola e ciancia con sonagli di gocce e pietruzze, e le conchiglie – che sono orecchio del guardiano – si arrotolano e gongolano e sentono casa. E fremono tanto, le orecchie di conchiglia, che io, da sotto, lo chiamo a gran voce per dirgli di fare attenzione!, che combinerà un gran danno!, ma quello proprio non mi sente.
 
Allora io penso e ragiono, e mi bagno di acqua di mare a Milano, e penso e ragiono e mi dico che il danno ormai è fatto, che siamo a Milano ed è agosto e che, stamattina, alla porta, ho donato al mio vicino un pezzo di mare che io avevo in casa e non lo sapevo. Allora mi dico, penso e ragiono, e penso e mi dico che non è tempo di ragionare e non è tempo di pensare, quando il mare ti gocciola in testa dal balcone del terzo piano, e allora posso chiudere gli occhi e posso riposare e fingere orecchie di conchiglia e bocca di pesce e stare muta a sentire il rumore del mare.
 
Il guardiano del faro resta vigile al terzo piano di questo palazzo di Milano, e nessun mondo può sbatterci contro, e nessuna barca può sfiorarci il braccio, e nessun uomo può colpirci il cuore, e così io posso non pensare posso non pensare e posso gorgogliare posso gorgogliare e poi posso annegare e annegare e posso annegare e scendere negli abissi e sul fondale e posso gorgogliare posso gorgogliare e poi, all’improvviso, nuotare verso riva.