Il cuore di Samuele

Uno stregone, una fenice, un bambino malato e Livio Gambarini alla regia… Il racconto quarto classificato della Dodicesima Edizione della Seconda Era. Il tema era: Le lacrime della fenice

 
In una notte di luna piena, Samuele arrivò sul monte Eone a cavallo di una nuvola. Tutto quello che aveva con sé era una bisaccia, un bastone di quercia e un libro chiuso da un grosso lucchetto. Quando toccò terra, si accorse che il monte era coperta di una sabbia favolosa, composta da petali di zafferano, rametti di mulmio e mille altre sostanze aromatiche. Leoni e pantere non più grandi di un pugno giocarono per un minuto tra i suoi stivali, poi fuggirono tra cespugli carichi di zollette di zucchero.
Samuele alzò il suo bastone e uno sciame di lucciole gli indicò il sentiero. Dopo un po’ di cammino, vide una luce dorata in cima alla duna più alta. Ringraziò le lucciole e si arrampicò fino in cima.
Quello che vide era l’animale più bello su cui mai occhi d’uomo si fossero posati. L’oro più splendente sarebbe parso fango accanto a quel capo regale, e la più magnifica delle aquile avrebbe provato vergogna, in presenza di quelle ali piumate. La creatura voltò il capo verso l’uomo e aspettò che parlasse.
«Sono Samuele delle Braci. Sei tu la Fenice?»
«Sono io.»
«Ho bisogno delle tue lacrime.»
«Non è possibile.»
«Ti rifiuti di darmele?»
«Non posso piangere. Vedi,» e la Fenice allargò un’ala a indicare le terre che si stendevano sotto il monte Eone «sto contemplando la magnificenza del mondo e di tutte le sue creature. Il mio sguardo abbraccia il tutto, il mio cuore trabocca di gioia. Non c’è nulla che potrebbe spingermi a piangere.»
«Io ho bisogno delle tue lacrime, e sono disposto a tormentarti fino a farti piangere per averle.»
Detto questo, Samuele schioccò le dita. Il lucchetto si aprì, il libro levitò nell’aria e potenti sortilegi gocciolarono fuori dalle sue pagine come gocce di pioggia color latte.
La Fenice non disse nulla, ma spalancò le ali con grande maestà, le sbatté e un forte vento spazzò via le gocce bianche. Lo stregone evocò con il bastone tre guerrieri fantasma, che l’animale distrusse con il suo grande becco dorato. Samuele pronunciò allora dodici sillabe irate, e una palla di fuoco crepitante inglobò lo splendido animale, sollevando un forte profumo di incenso dalla sabbia.
«Stolto!» La Fenice emerse dalle fiamme senza nemmeno una scottatura «Non sai che una Fenice non teme nemmeno il fuoco più ardente?»
La creatura abbassò i suoi artigli su Samuele, stracciò il suo libro e lo afferrò per la tunica, trascinandolo sopra il precipizio.
«Hai gettato al vento la tua vita. Hai un’ultimo desiderio, stregone?»
Samuele scoppiò in lacrime.
«Non mi interessa di perdere la vita. Da quando mia figlia si è ammalata, non mi importa più niente. Per guarirla, ho tentato tutte le cure e sperimentato ogni sortilegio, a nulla è servito. Allora sono partito per il mondo alla ricerca di un rimedio, ma è stato tutto inutile. La mia ultima speranza erano le lacrime della Fenice, capaci di guarire ogni male, ma ora che mi hai sconfitto quella speranza è morta. Quindi, come può importarmi di perdere la vita, quando ormai so che non potrò più udire la risata della mia piccola?»
La Fenice rimase in silenzio per un intero minuto. Poi, con grande delicatezza, appoggiò Samuele su un mucchio di sabbia. Un raggio di luna fece brillare tre lacrime tra le piume dorate.
«Sei perdonato. Porta a tua figlia queste mie lacrime, e queste parole: la speranza non muore, quando è alimentata da un grande cuore.»