Il grande balzo

Storia alternativa, un passato che forse neppure nel futuro potremo vivere. Secondo classificato nella CENTODUESIMA Edizione di Minuti Contati con Franco Brambilla come guest star, un racconto di Mario Pacchiarotti.

 
…Otto anni fa vi parlai di un progetto ambizioso, vi promisi… la luna.
Risate.
Oggi si sta per realizzare un sogno persino più grande, mancano poche ore, minuti. Sono orgoglioso di rappresentare il popolo degli Stati Uniti, l’umanità intera.
Applausi. Bandiera in fermo immagine. Inno.

 
«Se fosse possibile un terzo mandato, Kennedy sarebbe eletto senza neanche fare campagna» disse Tony spegnendo il televisore.
«Io lo voterei di certo, nonostante il divorzio» disse Sally, tagliando le ultime due fette di pane in cassetta, poi ripose il coltello e iniziò a preparare i sandwiches. Aveva già pronto tutto il resto: lattuga verde, formaggio, bacon croccante, pomodoro a fette… e naturalmente le salse. Una volta finito rimase a valutare il risultato: sarebbero bastati?
«Quanti ne hai fatti, cara?» chiese il marito, dando corpo alle sue preoccupazioni.
«Sei. Tre per uno, dovrebbero bastare, tanto i ragazzi non ci sono» rispose, poco convinta.
«Fanne un altro paio con il burro di arachidi, e siamo a posto.»
Sally annuì e prese a tagliare le fette necessarie. Tony invece prese il barattolo dal frigo e il coltello largo dalla credenza. Si mise a spalmare il burro mentre la moglie lo abbracciava da dietro, carezzandolo sul petto, il viso appoggiato alla sua spalla.
«Buona Sally, altrimenti finiremo per fare tardi.»
La donna rise divertita. «Sarebbe così grave?»
«Be’, non so tu, ma io non mi perderei lo sbarco per niente al mondo. Sarei andato volentieri a vederlo con i ragazzi se tu non avessi la clustro… costru…»
«Claustrofobia» finì lei. «Non è colpa mia. Ho provato a mettere il casco, in fondo sarei stata all’aperto, ma mi pareva di impazzire, la testa chiusa in una boccia di vetro… Sto male solo a pensarci.»
Si staccò dal marito, aprì uno sportello e ne trasse un cesto di vimini dove sistemò dei tovaglioli, i sandwiches e un paio di birre fresche di frigo.
«Io sono pronta, si va dai Peterson?»
«Sì, usciamo ora, aspetteremo che inizi la diretta lì, tanto ci saranno già tutti.»
Si avviarono alla porta e uscirono, sarebbe stato un breve percorso.
 
«Jenny, cavolo, vai piano con quella bicicletta, se cadi e spacchi il casco sono guai!»
Sua sorella non pareva impressionata. «Smettila, non c’è mica pericolo, si respira anche senza casco.»
Bob si innervosì. Perché doveva essere sempre così avventata? Perché non si rendeva mai conto di tutti i pericoli che correva? Se cadeva il vetro poteva sfregiarla o tagliarle la gola. L’ossigeno della bombola poteva incendiarsi per una scintilla nell’urto. E l’aria poteva essere meno respirabile di quanto lei pensasse, visto che il fondo della valle era stato riempito di gas.
«Accidenti a te, Jenny, vai piano e aspetta gli altri, o racconto a papà di Roger» le disse a voce più bassa, in modo che solo lei lo sentisse. La sorella lo fulminò con lo sguardo. «Sei un deficiente» gli gridò, ma rallentò abbastanza affinché i loro amici li raggiungessero. «Comunque siamo quasi arrivati, il belvedere è dopo la curva.»
I sei ragazzi pedalarono in gruppo per un centinaio di metri, poi si fermarono in uno spiazzo da dove si dominava la valle sottostante, giusto dietro al pulmino Kombi del sindaco. Smontarono dalle biciclette e si misero a contemplare il paesaggio che si apriva davanti a loro.
«Per la miseria» commentò Arthur, nessun altro trovò niente di adeguato da dire.
Bob cercava di catturare ogni particolare, annotandolo mentalmente. Voleva ricordarsi di tutto, niente doveva sfuggire.
Sul fondo della valle aleggiava una sorta di nebbiolina giallognola, probabilmente dove il gas era più denso. Per quel motivo non si riusciva a scorgere bene le strutture e il paesaggio oltre quella coltre, nella parte più profonda della depressione, ma lo spettacolo al di sopra non mancava.
Un’immensa struttura lenticolare sembrava galleggiare come un tuorlo d’uovo su quella nebbia dorata. Forse è sostenuta da pilastri, pensò Bob, o magari vola. Sulla cima della lente c’erano edifici, una vera e propria cittadella dall’architettura mai vista. Agganciate alla base invece, stavano due piattaforme simili a nidi, uno dei quali occupato da quello che sembrava essere un razzo, l’altro sgombro. Bob capì che era lì che sarebbero atterrati. Percepì un rumore sordo che si faceva man mano più forte.
«Stanno arrivando» disse, con un filo di voce.
 
Il televisore dei Pater era davvero enorme. In quel momento la regia stava inquadrando l’astronave in fase di discesa. L’allegra caciara del gruppo di amici si era trasformata in silenzio. Anche lo speaker aveva perso la parola.
Il veicolo spaziale scendeva dritto come un fuso. Aveva attraversato l’atmosfera eppure la struttura di metallo era perfetta, senza alcun danno visibile.
«È bellissimo» esclamò Sally.
Lentamente la nave si avvicinò a terra fino a fermarsi, toccando il suolo.
 
Ricordate questa data amici telespettatori, 20 luglio 1969, per la prima volta una nave aliena tocca il suolo terrestre: un piccolo passo per i vegani, un grande balzo per l’umanità.