Il male del millennio

Il male del millennio

Il racconto, vincitore della prima Tonani Edition, classificatosi decimo nella BEST 13 delle prime sessantadue edizioni di Minuti Contati.

 
Fa freddo. Alza la testa e soffia sulle mani per scaldarle. Il sole è basso sull’orizzonte e la sua ombra si allunga su metà del campo.
Lucia infila il coltello nel terreno e sradica la piantina di tarassaco. Un passo avanti. Si guarda intorno. Una fitta le arriva al basso ventre e la costringe ad accucciarsi. Respira. Il dolore cessa.
 
L’acqua con cui lava le foglie è gelata. Riempie la pentola e l’appende al gancio nel camino. Non devono cuocere molto, giusto il tempo di trovare una scodella.
«Dove le hai prese?»
«Lungo i fossi.»
«Non sarai entrata nei campi?»
«No, mamma, sta’ tranquilla.»
Butta due pezzi di legno nel camino e allunga le mani. Fa freddo.
«Lo sai cosa ti fanno se ti prendono? I campi non sono tuoi.»
Sbuffa. Che se ne farà poi il padrone di quelle erbacce, con tutta la roba da mangiare che ha.
 
Mette la verdura nella scodella.
Sale la scala tenendosi con una mano sola. Antonio, il fratello piccolo, sorride appena quando la vede arrivare. È pallido e ha le labbra gonfie, e non ha più nemmeno la forza di alzare la testa dal pagliericcio. Quella stanza è più calda della cucina, ma non abbastanza.
Lucia gli carezza i capelli e gli allunga la scodella. Lui scuote la testa.
«È caldo, ti farà bene.»
Lo aiuta a tirarsi su e si mette dietro di lui. Lo imbocca col cucchiaio. Antonio mastica lentamente e si appoggia a lei.
«Va meglio?»
Lui annuisce e si riaddormenta.
 
Suo padre e Giovanni, il fratello grande, sono appena rientrati col latte. Il secchio mezzo vuoto è sul tavolo.
«Non ce la fa più neanche lei» dice suo padre, seduto su una sedia. Intende la mucca.
Giovanni è appoggiato col braccio alla mensola del camino e fissa il fuoco. È diventato magrissimo, tiene i pantaloni legati in vita con lo spago. Cerca di non darlo a vedere, ma ha i brividi. Come Antonio, solo che lui è più grande e ancora si regge in piedi.
Gli dà una scodella di verdura e lui la mangia lì, in piedi davanti al fuoco, senza nemmeno girarsi.
Ne dà una anche a suo padre, che la prende con le mani che tremano e a momenti la fa cadere.
Il tarassaco è amaro, cattivo, senza sale. Senza condimento. Ma è caldo. Lucia lo sente arrivare nella pancia ed allargarsi a riempirla. Calmerà le viscere e l’aiuterà a rimanere in piedi. Così potrà andare a cercarne dell’altro.
Alza lo sguardo verso sua madre. Anche lei è pallida e si stringe la pancia per il dolore.
 
Il sole è sorto da poco, ma Lucia è già in mezzo al campo. Ha preso due sacchi questa volta ed è solo a metà del lavoro.
L’abbaiare dei cani la fa sussultare. Si accuccia. Vede le lanterne in lontananza, tra gli alberi, e gli uomini a cavallo. Per un attimo pensa che siano lì per lei, e respira di sollievo quando sente il corno da caccia. Infila il coltello sotto l’ultima pianta e la mette nel sacco prima di scappare via.
Si butta nel fosso e l’acqua le entra negli zoccoli, le calze si bagnano e diventano gelide. Si rannicchia vicino a un albero.
I cani si avvicinano, fiutano lì intorno, ma vengono richiamati.
«Lasciamo perdere» grida qualcuno «ne abbiamo abbastanza per oggi.»
Si allontanano. Lucia si alza. Riprende a raccogliere il tarassaco vicino al fosso. Chinandosi a infilare il coltello nota del sangue e poi una lepre enorme. Il coltello le scivola di mano. Si guarda intorno.
Afferra la lepre e la mette nel sacco. Si volta. I suoi occhi incontrano quelli del guardiacaccia.
Le viene da piangere.
«Sei molto pallida.»
Lucia china la testa.
«Sei malata. Che ci fai qui?»
«Cerco le erbe per la pancia.»
Lui annuisce. È un uomo grande e grosso. In paese si dice che abbia ucciso un cinghiale a mani nude. Ha degli occhi molto belli.
«Io non ti ho visto.»
Il guardiacaccia si volta e se ne va.
 
Sua madre piange in un angolo della stalla, mentre lei e Giovanni appendono la lepre per scuoiarla.
«Tu sei matta.»
Neanche la lepre, bollita, sarà molto buona. Ma, a differenza del tarassaco, può guarirli davvero. Sì, è stata matta, e imprudente; e disperata. Ma la pancia le fa male, e ormai trema così tanto che fatica a stare in piedi. La carne è quello che serve a tutti.
 
Antonio si è messo seduto sulla panca vicino al fuoco. Lo ha dovuto aiutare per fargli scendere le scale, ma adesso trema molto meno.
La lepre è durata tre giorni e quella è l’ultima ciotola. Il bambino sbuffa annoiato. Tutti ridono. Nessuno di loro si è svegliato coi brividi quella mattina.
 
Il rumore degli zoccoli la fa sussultare. Corre fuori. Il guardiacaccia scende da cavallo.
«Tuo padre?»
«È dentro. Ma lui non ha fatto niente di male.»
Lui la supera ed entra in casa, con la bisaccia sulla spalla.
Lucia guarda dalla finestra. Suo padre e il guardiacaccia scambiano due parole e si stringono la mano. Dalla bisaccia esce un fagiano.
In cortile il guardiacaccia le dà un anello. Lei non capisce.
«Ho bisogno di una moglie. E a te serve una medicina. Ne porterò altra, come quella che ho portato oggi.»
«Non ho una dote.»
Lui le sorride e le accarezza il volto.
«Hai un coltello. Per diventare la moglie del guardacaccia sarà sufficiente.»

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