Intervista ad Alessandro Vietti

SPARTACO: Diamo il benvenuto ad Alessandro Vietti, guest star di Minuti Contati per il mese di marzo 2017. Appassionato di fantascienza con lo sguardo rivolto sempre al cielo. Chi è Alessandro Vietti?
 
Vietti: Grazie a voi dell’ospitalità. Credo sia molto difficile dare una definizione di se stessi che non sia in qualche modo fuorviante o limitativa, quando non addirittura viziata dal proprio modo di guardarsi allo specchio. In fin dei conti, quello che facciamo è quello che ci definisce prima di ogni altra cosa, almeno nei confronti degli altri. Quindi quello che faccio, almeno in parte, lo vedete. Per il resto, se proprio devo dare un elemento distintivo, qualcosa di fortemente radicato nell’essenza di Alessandro Vietti, direi che è la fiducia e la dedizione assoluta al pensiero scientifico.
 
SPARTACO: Oltre alla scrittura, quali sono le tue passioni?
 
Vietti: La lettura, ovviamente, presupposto fondante all’attività di scrittura. E poi la scienza in generale e in particolare le materie correlate alla fisica e all’astronomia, planetologia e cosmologia su tutte. Ma anche relatività e meccanica quantistica. Quelle discipline, insomma, che ci fanno capire in che misura viviamo immersi in un mistero di cui sappiamo davvero pochissimo. La scienza è proprio una candela nel buio, come diceva Sagan, e mi appassiona esplorare quella piccola sfera di luce lì intorno.
 
SPARTACO: Il grande marziano è il blog in cui esprimi il “punto di vista da un altro pianeta”. Quanto possiamo sapere di te attraverso le sue pagine?
 
Vietti: “Il grande marziano” nasce come un esperimento, una palestra di pensiero. Idealmente è stato come mettermi in una posizione esterna, privilegiata, dalla quale osservare la realtà attraverso prospettive oblique, non allineate. Le cose che ci vengono raccontate e con le quali ci facciamo un’idea del mondo in cui viviamo, non sono quasi mai necessariamente quelle giuste e c’è sempre più di un modo, assolutamente legittimo, di prenderle in considerazione. Dunque il blog è stato un esercizio, prima di tutto su me stesso, di interpretazione della realtà, per non prendere ogni cosa che ci viene detta supinamente come verità. In un mondo dominato dai media (e dai social) che ci bombardano quotidianamente con tutte le loro “verità”, credo che l’abitudine all’indipendenza del pensiero sia un’attività necessaria e doverosa. In Real Mars a un certo punto dico: “quando ci si aggira nei camerini delle opinioni, la verità è quella truccata col rossetto più sgargiante”. Ecco, mantenendo la metafora cosmetica, direi che il blog è l’equivalente di uno struccante.
 
SPARTACO: Scrivere nel nostro paese vuol dire buttarsi in un mercato in cui è difficilissimo emergere. E farlo nella fantascienza raddoppia la difficoltà. Cosa ti ha spinto a farlo?
 
Vietti: Se parti con l’idea di scrivere per emergere sei fregato. Non funziona così. Non arriverai da nessuna parte. Perché scrivere è attività che richiede fatica, sacrificio e dedizione, per tempi anche molto lunghi, a fronte di un ritorno molto, molto incerto. Una cosa così puoi farla solo se senti il bisogno di farla, se ti dà soddisfazione solo per il fatto di farla e di esserci riuscito, se ti interessa, se ti diverte. Non è che l’aspetto della pubblicazione e dell’eventuale successo non conti, conta eccome, non nascondiamoci dietro a un dito: un autore scrive per essere letto ed è legittimo che abbia una simile ambizione. Ma non può essere quello il motore che lo spinge a farlo.
 
SPARTACO: Quali sono i tuoi autori di riferimento?
 
Vietti: Gli autori che ciascuno di noi conosce, nascono dalle letture e per me la lettura è una continua evoluzione. Pertanto ogni fase dalla mia vita di lettore ha avuto e avrà i suoi autori di riferimento. A vent’anni avevo Isaac Asimov e Arthur C. Clarke, adesso ho (tra gli altri) David Foster Wallace, Vladimir Nabokov, China Mièville, Jonathan Lethem. In mezzo c’è stato (e c’è) di tutto, da David Brin a Kim Stanley Robinson, da Milan Kundera a Stephen King, da Italo Calvino, a Umberto Eco, a George Simenon, a Dan Simmons. Insomma, come vedi le mie letture spaziano davvero a trecentosessanta gradi, per cui non posso dire di avere autori di riferimento. Ogni grande autore è un riferimento. Ogni buon libro ti insegna qualcosa.
 
SPARTACO: Tra gli italiani contemporanei, c’è qualcuno a cui ti ispiri?
 
Vietti: ‘Ispirare’ non credo sia la parola più adatta, perché ho idea che presupponga quella fase di influenza che credo di avere ormai superato, nel senso che credo di essere riuscito a raggiungere una “voce” sufficientemente peculiare da poterla considerare personale. ‘Ammirare’ invece sì, per quello che certi autori riescono a fare. E per me, ora, il più grande scrittore italiano contemporaneo è Michele Mari.
 
SPARTACO: Cyberworld, il tuo primo romanzo, risale all’ormai lontano 1996. In quel periodo in Italia andavamo ancora a 56k ciò nonostante tu trattasti dei temi oggi attuali. È fissando il cielo che riesci ad anticipare i tempi?
 
Vietti: Per la costruzione di “Cyberworld” mi avvalsi di parecchi approfondimenti sul tema della realtà virtuale e del web che stava vedendo gli albori proprio in quegli anni e che, all’epoca in cui lo scrissi, parliamo del 1995, erano argomenti intorno ai quali si discuteva moltissimo anche in termini filosofici. Non basta fissare il cielo, insomma. In ambito scientifico e tecnologico bisogna studiare e documentarsi.
 
SPARTACO: Tre anni dopo, nel 1999, hai pubblicato “Il codice dell’invasore”, ma bisogna aspettare diciassette anni per poter leggere “Real Mars”, il tuo terzo. Da cosa è dovuta questa lunga attesa?
 
Vietti: In realtà non ho mai smesso di scrivere, ma ci sono state diverse congiunture non particolarmente favorevoli. Innanzitutto alcune vicissitudini personali che mi fecero un po’ rallentare nella scrittura, poi un romanzo che non ha trovato sbocchi ed è rimasto in un cassetto (e per ora è molto felice di restarci), infine va considerato che tra l’inizio della stesura di “Real Mars” e la sua uscita in libreria sono trascorsi più di otto anni. I primi file che ho nel computer risalgono infatti a fine 2007 e l’uscita è avvenuta nell’aprile 2016. Anche qui, in mezzo c’è stato sangue e sudore, scritture e riscritture e il confronto con un mondo editoriale molto difficile, anche avendo per le mani un prodotto ‘buono’ (almeno stando ai riscontri che ne ho avuto dai lettori) come “Real Mars”.
 
SPARTACO: Ora che “Real Mars” sta riscuotendo un buon successo, non puoi farci aspettare quasi due decenni per la prossima opera. Stai già lavorando sul prossimo romanzo?
 
Vietti: Sì, il nuovo romanzo è già in cantiere. Diciamo che ho una scadenza per terminarlo, che è l’estate prossima, e le scadenze fanno sempre bene al lavoro. Peraltro non ho più l’età per permettermi di far passare altri diciassette anni!
 
SPARTACO: “Real Mars” è un esempio di fantascienza. All’interno delle sue pagine c’è una forte critica alla società odierna. Dov’è nata l’idea?
 
Vietti: Un romanzo nasce sempre dalla cristallizzazione successiva di idee che si intestano le une con le altre come tessere di un mosaico del quale solo a un certo punto si intuisce il disegno complessivo. E sotto questo aspetto “Real Mars” non fa eccezione. L’idea fondante è la risposta al motivo per cui su Marte, nonostante negli ultimi sessant’anni siano stati sviluppati migliaia di progetti, nessuno di questi non solo non è andato in porto, ma non è mai nemmeno stato preso in seria considerazione, ovvero il problema della mancanza di quello stimolo catalizzatore delle energie tecnologiche e, soprattutto, economiche necessarie a portare a termine un progetto così ambizioso. Negli anni ’60, ai tempi del Programma Apollo furono la Guerra Fredda e la contrapposizione USA-URSS per la supremazia mondiale a fungere da stimolo verso quell’incredibile connubio di energie che ci portò sulla Luna. Senza quella situazione di ‘crisi’ non ci saremmo andati, per lo meno non nel 1969. Per andare su Marte ci vuole qualcosa che imprima una spinta ancora più forte. La risposta, nel romanzo, viene data dall’industria dell’intrattenimento, l’unico soggetto che potrebbe essere in grado di mettere in campo il grossissimo investimento iniziale necessario, a fronte di un conseguente e adeguato ritorno economico immediato. Naturalmente non è detto che dovrà andare per forza così, ma ritengo sia uno scenario altamente plausibile e sono abbastanza fiducioso che, se mai nella nostra vita vedremo questa tanto desiderata missione umana su Marte, se non sarà proprio come “Real Mars”, ci saranno parecchie cose che lo ricorderanno molto da vicino. Così, una volta intestata l’idea del ruolo dei media e di quale dovesse essere il punto di vista del romanzo (e come dovesse essere raccontato), la critica alla società odierna è stata quasi una conseguenza naturale.
 
SPARTACO: Una parte che ho apprezzato molto del romanzo, sia dal punto di vista tecnico che narrativo, è il modo in cui hai mostrato il mondo attorno alla missione. In ogni capitolo il punto di vista saltava su un telespettatore e mostrava la sua vita. Tante storie unite dalla visione della trasmissione. Siamo veramente così?
 
Vietti: Quelle che con l’editore abbiamo chiamato “microstorie” che costellano il romanzo mostrando come la televisione e il programma interagisce con una serie di singoli telespettatori e influenza in qualche modo la loro vita, stanno lì proprio per mostrarci quello che siamo e che forse non ci rendiamo conto di essere perché ci siamo immersi fino al collo. Basti pensare alle nuove modalità di fruizione di contenuti televisivi come Netflix, al fenomeno del binge watching, a Masterchef e a X-Factor, a come la tecnologia ci permette di portarci dietro costantemente un “televisore” e ogni momento libero della nostra vita è pervaso o, per lo meno, potenzialmente pervadibile dall’intrattenimento. E tutto questo ha un riflesso sulle nostre esistenze, sia socialmente che culturalmente, le condiziona e cambia le nostre abitudini, il nostro modo di pensare e di relazionarci con gli altri, non necessariamente in bene o in male, ma comunque in una maniera non trascurabile. Il focus del romanzo è proprio un mettere il lettore/spettatore di fronte a uno specchio, senza la presunzione di giudicare. È più come un: “Vedi, stiamo diventando questo, siamo diventati quest’altro. Ti piace?” Alla fine è il lettore a decidere.
 
SPARTACO: Sull’astronave diretta verso Marte ci sono quattro astronauti: un russo, un italiano, una francese e una tedesca. La presentatrice è spagnola e la lingua ufficiale l’inglese. Insomma, la vera Europa unita. Possiamo auspicarci delle collaborazioni su così vasta scala?
 
Vietti: Fin dal principio ho avuto l’idea di fare un romanzo europeo. Il soggetto lo permetteva, anzi lo esigeva a gran voce. Mi piaceva l’idea che fossero gli europei a farcela per primi, un po’ perché sono europeo e ottimista, e vedevo l’impresa come il riscatto di un continente altrimenti in declino. Ovviamente per farcela gli europei dovrebbero per forza consorziarsi tra loro e con i russi, cosa che peraltro è un’abitudine normale ormai da molti anni in ambito spaziale, dunque non c’è nulla di particolarmente strano o difficile.
 
SPARTACO: A un anno dall’uscita di “Real Mars”, cos’hai provato nello scoprire che la NASA ha copiato il tuo approccio alle missioni spaziali? Il modo in cui hanno pubblicizzato la scoperta dei sette pianeti di Trappist-1 è molto simile a quello del tuo romanzo. Lo show prima di tutto…
 
Vietti: In realtà quell’approccio un po’ sensazionalistico cui abbiamo assistito di recente, la NASA lo sta adottando già da parecchio tempo. Nessuno ha copiato nessuno. Sia la NASA che “Real Mars” sono solo figli dei tempi e del ruolo totale che i media hanno nella gestione delle informazioni e nel modellare la nostra percezione del mondo e di ciò che vi accade, e delle nuove modalità di comunicazione che tutto questo sistema ha generato. Poi nel caso della NASA non si devono dimenticare i risvolti politici (i fondi per la ricerca spaziale sono sempre meno ed è ovvio che i successi promuovano nuovi stanziamenti) e quelli culturali (suscitare entusiasmo e ispirazione intorno alla scienza, anche un tantino esagerato, è una cosa molto importante in tempi in cui in certe scuole americane viene insegnato il creazionismo e in cui c’è chi crede, per esempio, alle scie chimiche) che giustificano questa prassi.
 
SPARTACO: Altro aspetto interessante di “Real Mars”, nonostante sia una storia interplanetaria, è l’italianità. Sei riuscito a inserire personaggi come Fabio Volo senza farmi smettere la lettura. Credi che possa nascere un filone nazionale di fantascienza che si distacchi da quella anglofona?
 
Vietti: È da quando mi interesso di fantascienza, e quindi da almeno la metà degli anni ’90, che sento parlare di “via italiana alla fantascienza”. Ci sono molte opinioni a riguardo e se ne potrebbe parlare per ore. Personalmente non credo a un’identità tematica condivisa, o a un’ambientazione per forza italica, ogni autore deve trovare la sua riconoscibilità attraverso l’espressione della propria personalità. L’unica cosa importante è che escano sempre più buoni libri di scrittori italiani, e che questi autori riescano a trovare uno spazio di visibilità sempre maggiore. Alla fine sarà solo una questione di raggiungere una ‘massa critica’. Quando cominceranno a esserci un certo numero di scrittori autorevoli e conosciuti, allora potremo dire che esisterà un vero filone nazionale di fantascienza letteraria. Del resto questi processi culturali hanno bisogno di molto tempo per svilupparsi e consolidarsi e, a mio avviso, le cose vanno già molto meglio rispetto a vent’anni fa per non dire oltre. Quindi credo che in realtà questo processo sia già in atto e ogni buon romanzo che trova riconoscimento e soddisfazione nei lettori, e che magari riesca a farsi sentire anche solo un po’ al di fuori della ristrettissima nicchia dei cultori del genere, è un piccolo passo in più sulla strada che porta in quella direzione.
 
SPARTACO: Credi che sia una discriminante ambientare la fantascienza in Italia?
 
Vietti: No. A discriminare nella fantascienza, come nella letteratura in generale, sono solo le cattive storie, quelle noiose, brutte, mal scritte, quelle che non hanno niente da dire. E ce ne sono sempre troppe in giro. Non vale forse sempre e comunque la celebre Legge di Sturgeon?
 
SPARTACO: La fantascienza nostrana vive in un limbo da decenni. Apprezzata, ma mai rivolta al grande pubblico. Da cosa dipende questa dimensione?
 
Vietti: Innanzitutto bisogna sfatare un mito: questo è un fenomeno che accade anche altrove. Da nessuna parte la fantascienza (letteraria) è un genere da grande pubblico. E quando diventa da grande pubblico smette di essere fantascienza. È un annoso problema di difficile soluzione, perché nasce da un equivoco culturale di fondo generato involontariamente, a mio avviso, prima dalle riviste pulp e poi dal cinema, ovvero da chi ha diffuso in maniera popolare gli stilemi del genere. Non è un caso che inizialmente la fantascienza, quando ancora questo termine non esisteva, ai tempi del cosiddetto ‘romanzo scientifico’, era un genere che risiedeva con piena dignità all’interno della letteratura. Pensa a Mary Shelley, a Jules Verne o ad H.G. Wells. Poi qualcosa ha cominciato a cambiare (un momento storico che forse si potrebbe individuare con la pubblicazione del ciclo di John Carter di Marte di Burroghs?). C’è stato come un peccato originale, una situazione in cui il pubblico ha cominciato ad associare la fantascienza esclusivamente alle storie di mostri extraterrestri bavosi e terribili e di donnine bionde un po’ discinte messe in pericolo da alieni verdi o automi impazziti, messe di storie popolari, invero un po’ grezze, create solo per intrattenere. Le cose hanno cominciato a cambiare con la new wave degli anni ’60, ma forse la frittata era già fatta. D’altro canto poi c’ha pensato il cinema a continuare ad alimentare questa falsa relazione con film come Alien, Star Wars, Star Trek, Terminator, blockbuster mondiali, ma nel contempo portatori di un’idea di fantascienza molto diversa da quella letteraria. Se poi a questo ci si aggiunge una cultura ufficiale, critica e accademica, che normalmente osteggia la fantascienza (anche questo ovunque, non solo in Italia; a tale proposito suggerisco di leggere l’introduzione di Doris Lessing – Premio Nobel per la Letteratura nel 2007 – al suo romanzo “Shikasta“, Fanucci 2014), bollandola come una letteratura d’intrattenimento di basso livello, si capisce forse come siamo arrivati a questo punto. Personalmente sono convinto – e qui so di essere un po’ provocatorio – che la fantascienza alla fine diventerà da grande pubblico solo quando (se) la smetterà di ostinarsi a volersi chiamare tale e ad ambire a uno scaffale tutto per sé in libreria. E non è detto che questo non stia già succedendo, basti pensare ai titoli di fantascienza che, sempre più numerosi (e senza essere dei classici) escono nell’ambito di collane generaliste, dunque senza nessuna etichetta.
 
SPARTACO: Zona 42, la Casa Editrice di Real Mars, si propone di rilanciare la fantascienza in libreria. Come vedi il progetto, sono sulla buona strada?
 
Vietti: Dall’apprezzamento e dall’entusiasmo che vedo mantenersi costante (anzi addirittura in crescita) intorno al progetto, mi pare che l’operazione stia funzionando egregiamente. In fondo mi pare che ormai solo Multiplayer e Zona 42 (e in buona misura Fanucci che ha ripreso a macinare titoli nuovi con buon ritmo solo negli ultimi anni) portino in libreria, quindi in formato cartaceo, titoli tradotti di romanzi contemporanei con continuità. Se vogliamo, il pregio più grande di Zona 42 è anche l’unico vero loro limite, ovvero non poter fare più di quattro/cinque titoli l’anno. Perché da un lato questo consente di mantenere una qualità molto elevata nella scelta dei testi e nella cura delle edizioni, ma dall’altro è un po’ limitante per raggiungere quell’ampiezza di catalogo e di ‘presenza’ necessari per sfondare nel mercato editoriale. Del resto, tutto considerato bisogna anche chiedersi: ma si può davvero sfondare nel mercato editoriale italiano, di fantascienza per giunta? Insomma forse tanto vale starsene di un bel pareggio di bilancio e poter andare avanti a fare quello che piace e in cui si crede con la massima cura possibile fregandosene del resto.
 
SPARTACO: Consigliaci alcuni titoli che dobbiamo assolutamente leggere.
 
Vietti: I consigli librari sono destinati a deludere, perché l’apprezzamento letterario è talmente condizionato dalla soggettività che raccomandare titoli è sempre un rischio. Quindi non ti consiglierò dei libri, ma ti citerò in ordine sparso alcuni titoli (non necessariamente fantascientifici) che personalmente ho apprezzato parecchio negli ultimi anni: “Warlock”, di Oakley Hall, “Nel mondo a venire” di Ben Lerner, “Ragazza con paesaggio” di Jonathan Lethem, “Rosso Floyd” di Michele Mari, “Pastoralia” di George Saunders, “La città e la città” di China Mièville, “Skippy muore” di Paul Murray, “Voci dalla luna” di Andre Dubus, “La scopa del sistema” di David Foster Wallace, “Endurance” di Alfred Lansing, “La voce del fuoco” di Alan Moore, “Lo spazio sfinito” di Tommaso Pincio, “Il porto degli spiriti” di Lindqvist… fermami, perché potrei andare avanti per ore…
 
SPRTACO: “Personalmente non amo troppo la narrativa breve. Pochissima narrativa breve mi soddisfa quanto un bel romanzo. […] In secondo luogo che io con i racconti sono un rompiballe.”
Queste sono le tue parole ricavate da un articolo su “Il grande marziano”. Come premesse da giudice di un contest letterario per racconti brevi non è male. I nostri utenti devono tremare

 
Vietti: Sì, l’ho detto e lo confermo. Da un racconto sono più esigente che da un romanzo. Ma gli utenti non devono tremare. Basta che diano il massimo. Non voglio dei temini.
 
SPARTACO: Di racconti ne hai scritti parecchi e molti sono stati pubblicati in antologie. Cosa ti deve colpire in un racconto?
 
Vietti: Tutto deve colpire in un racconto. Un racconto è un distillato narrativo. Mi piacciono cose originali, sia per temi, che per scrittura. Si deve sentire quella scintilla che ti pizzica il sedere e ti fa esclamare “wow!”. Vuoi sapere come sono i racconti che mi colpiscono? Vai a cercare “Storie della tua vita” di Ted Chiang o “Pastoralia” (ma anche “Dieci dicembre”) di George Saunders.
 
SPARTACO: Il 20 marzo sarai la guest della novantasettesima edizione di Minuti Contati. Cosa ti aspetti di leggere?
 
Vietti: Spero di trovare qualcosa che mi lasci a bocca aperta.
 
SPARTACO: Siamo arrivati alla fine dell’intervista. Per noi di Minuti Contati è stato un piacere averti qui e lo sarà ancora di più ospitare sul nostro forum la Alessandro Vietti Edition.
A nome di tutto lo staff di Minuti Contati, ti ringrazio per il tempo che ci stai dedicando e ti faccio l’imbocca al lupo per i tuoi progetti.

 
Vietti: Grazie a voi dell’ospitalità, dello spazio e degli auguri. La vostra è un’iniziativa davvero originale e stimolante ed è un onore per me essere protagonista di una vostra edizione. Buon lavoro anche a voi!