La condanna

 

«Posso liberarlo?» Al buio riconobbi Ivan.

«Sì, ma fai attenzione» Questo invece doveva essere il medico.

Le piastre che mi bloccavano si aprirono, la luce tornò, e con essa il volto del mio amico.

«Come stai?»

«Benino, cosa dovrei sentire?» Avevo la nausea ma stavo bene.

«Non lo sappiamo, sei il primo» La voce proveniva dal computer sulla scrivania.

«Come il primo?»

«Sei il primo uomo. Le scimmie rispondono bene, hanno un incremento del pensiero del duecento per cento.» Ivan mostrò il suo sorriso migliore, ma era preoccupato.

Trattenni la rabbia a stento, avevo bisogno dei seimila euro.

«Cosa devo fare?»

«Ivan, fallo sedere e inizia con il test»

Rimasi su quella sedia per ore. Guardai il retro di cartoncini tutti uguali, provai a risolvere problemi incomprensibili, ma era tutto inutile. Capii dall’espressione del mio amico che qualcosa non andava, e quando il medico chiuse la comunicazione ne ebbi la conferma.

«Ho fallito vero?»

«Riposiamo cinque minuti, vedrai che poi andrà meglio, a volte ci vuole un po’ perché faccia effetto» Mentiva, potevo sentirlo.

Ci provammo tutta la notte, ma non cambiò nulla, ero quello di sempre. Vinti dalla stanchezza ci alzammo.

«Vedrai che domani andrà meglio. Ora vai a casa a riposare.» Stava mentendo ancora.

Affranto mi alzai, non mi interessava nulla dell’esperimento, ma dei soldi parecchio.

«Per il compenso non ci sono problemi?»

«Stai tranquillo, lo avrai.» mentiva.

«Potresti darmelo ora? Domani dovrei andare in banca.»

«Dammi i tuoi estremi ci penso io appena rientro.»

«Fallo ora.» Non avrei tollerato nessun’altra bugia, prima che potesse aprire bocca gli fui addosso e lo presi per il collo, sentii le ossa scricchiolare sotto le mie mani, e un istinto irrefrenabile di non fermarmi. Ma i soldi mi servivano. «Vai a quel cazzo di computer e fallo ora.»

Spaventato e memore degli anni passati insieme al liceo obbedì, non voleva tornare a fare il juke box. Quando fece partire il bonifico mi rilassai.

«Ci vediamo domani?»

«Puoi anche evitare di tornare.»

Mentre chiudevo la porta e me ne andavo percepii la sua felicità.

Finalmente era finita quella giornata. Potevo tornare da Sara, e l’indomani avrei saldato la banca. La casa sarebbe rimasta nostra.

Entusiasta non aspettai nemmeno l’ascensore. Feci i gradini due alla volta e volai da lei, bramavo di vederla in faccia mentre le dicevo che potevamo pagare. Entrai e andai piano a svegliarla. Le diedi un bacio sul collo, mugugnò qualcosa e si voltò.

«Abbiamo i soldi.»

«Ho sistemato io con la banca.»

«Come?»

«Me li hanno dati a lavoro.» Anche lei mentiva.

Appoggiai le mani sul letto e venni aggredito da mille immagini. Quella notte non era stata sola. Un dolore immenso mi mozzò il fiato, era stato tutto inutile. Iniziai a piangere come un bambino.

«Perché?»

«Non ho fatto nulla.»

«Non mentirmi!»

«Non l’ho mai fatto»

«Non mentirmi!» urlai fuori controllo, presi il cuscino e premetti sul volto della bugiarda. Quando smise di muoversi mi sedetti e fissai la parete bianca.

Ero condannato alla verità.