L’Agguato (estratto da “Vita Artificiale”)

Un pezzo della Guest Star della Chiarle Edition!

 
La notte è fatta per celarsi. Nell’oscurità le persone morigerate non escono di casa, se non sono costrette a farlo. Le tenebre che avvolgono la città nelle ore più tarde si popolano di malfattori, ladri, assassini, prostitute, viziosi, contrabbandieri, guardie e metronotte. Anche coloro che di giorno, sotto il Sole, sono persone comuni con vizi comuni, come il fumo o il vino, di notte si sentono invisibili, in qualche modo meno soggetti al comune giudizio dei propri simili e, sperando di passare inosservati, si trasformano. Non che il giorno sia popolato di sole brave persone, intendiamoci, ma la notte è differente: anche alcuni insospettabili cambiano con le tenebre. Così se anche di giorno vediamo il padre di famiglia che va di nascosto al bordello, il gentiluomo che si rovina nella bisca clandestina, il giovane che frequenta le fumerie d’oppio, il ladro che tenta di intrufolarsi in una casa vuota, la ragazza che si prostituisce in strada per sbarcare il lunario, tutto ciò assume proporzioni persino superiori col calare della notte. E quelli come Jean-Louis Verger stanno in attesa nell’ombra del vicolo, con il coltello in mano, al riparo dalla nemica luce da un lampione fracassato dalle sassaiole dei monelli. Jean-Louis, robusto, trent’anni, ufficialmente un ex scaricatore di porto d’origine francese, è in agguato come un vero vampiro, nella paziente attesa di un ignaro passante. Come a sottolineare la differenza tra realtà e fantasia, questa creatura della notte non ha nulla di affascinante, mentre attende il passaggio delle proprie vittime, quasi un ragno in attesa della mosca che si posi nella sua tela.
L’uomo si gratta il volto sfregiato dalle cicatrici di una vecchia rissa, sul quale si intravedono emergere pustole di sifilide non curata. La sua espressione è bestiale, l’eccitazione gli colora le gote di rosso, sulla fronte una vena pulsa rapidamente e, nonostante il fresco pungente della sera, l’uomo è accaldato e suda copiosamente. La bella strada acciottolata che ha davanti non gli dice nulla: la sola bellezza che sa vedere è quella di un portafogli gonfio, che sottrarrà all’incauto che si muove nella notte. O, meglio ancora, la vista di una ragazza sola, alla quale prendere tutto, anche la virtù.
E se qualcuno osasse opporre resistenza… Jean-Louis gioca con il coltello, dalla lama brunita, lanciandolo in aria un paio di volte e riafferrandolo con perizia, mentre attende, pregustando la prossima violenza che sta per commettere. Che vuole commettere.
Un rumore di passi attira la sua attenzione. Così il moderno licantropo, radicalmente differente dai fascinosi personaggi dei romanzi gotici, nasconde la lama in tasca, per evitare che un riflesso ne tradisca la presenza, ed osserva in silenzio.
Una figura snella cammina per la stretta strada deserta, alla fioca luce dei lampioni, diretta verso l’intersezione col vicolo buio e puzzolente di orina da cui Jean-Louis, avvolto nella notte come un novello Dracula, l’osserva avvicinarsi verso il proprio destino. Il viso brutto e maligno del malvivente si atteggia ad un sorriso storto.
E’ la mia sera fortunata: una ragazza sola e ben vestita, pensa il Verger. Non avrò nemmeno bisogno di finire la notte al bordello, sarà tutto guadagno. La cosa che lo infastidisce è che ormai le case di tolleranza della città lo rifiutano: la sua sifilide sta diventando troppo evidente e attira l’attenzione. La regolamentazione sulle norme igieniche viene quasi sempre fatta rispettare dalle Maitresse, e così viene controllato, non la può più nascondere. Per un po’ ha tenuto sotto controllo la malattia con la penicillina ma ha smesso quando il suo nome è apparso tra i ricercati, per non rischiare l’arresto, e così ora è tornata evidente più che mai. Jean-Louis ha cominciato ad approfittare carnalmente delle donne che rapina, spesso sfortunate prostitute non affiliate ai bordelli, scoprendo di provare una sorta di diabolica soddisfazione che va al di là del piacere fisico.
La sifilide ha cominciato anche a intaccargli il cervello: se sulle prime si limitava a rapine e stupri, negli ultimi tempi non riesce più a contenersi ed il suo livello di brutalità è cresciuto ulteriormente. Le ultime due sfortunate vittime le ha sventrate. La seconda l’ha stuprata mentre sanguinava a morte, l’intestino sparso in strada.
Non è colpa mia, si dice questo mostro vestito da uomo. La malattia mi ha bruciato il cervello, non riesco più a controllarmi. Non lo ha fatto apposta, Jean-Louis ne è convinto: è malato, si ritiene innocente. Un osservatore inerziale direbbe che non ha mai davvero provato a contenersi, che sta soltanto tentando di giustificarsi con i residui neri e putrefatti della propria coscienza, mai davvero propriamente attivi. Ma Jean-Louis non è quel tipo di osservatore e vede se stesso come malato innocente, come vittima della società e non come il criminale ricercato che è agli occhi di tutti. Poliziotti bastardi, pensa, oppressori dei proletari, servi dei padroni. Odia gli ‘sbirri’ e li ucciderebbe volentieri, ma girano in coppia e sono armati, non osa avvicinarglisi. Sebbene gli argomenti di Jean-Louis siano apparentemente spesso coincidenti con quelli dei socialisti estremisti, i veri proletari avrebbero da ridire a sentirsi paragonare a lui. Se mai lo conoscessero davvero.
La ragazza è ora così vicina che Jean-Louis riesce a vedere che è bionda, che ha gli occhi chiarissimi e che è molto bella. Il criminale esce dall’ombra e, con un balzo, le è addosso.
Urla, strepiti e la ragazza che cade al suolo, mentre lui la spoglia, la immobilizza e la fa sua tra pianto, lacrime e sangue, godendo della sua devastazione fisica ed emotiva.
Questo è quanto dovrebbe capitare, che è già accaduto più volte, ma non è ciò che accade stanotte. Anzi: è Jean-Louis a cadere rovinosamente con la faccia al suolo, il braccio spezzato dietro la schiena, il coltello perduto chissà dove, e la ragazza su di lui, così… Così pesante!
Jean-Louis ansima tentando di divincolarsi, nonostante il dolore lancinante al braccio destro, come la bestia brutale che è.
“Aaaaagh!” si lamenta. “Lasciami, cagna!” grida. Jean-Louis è quel tipo di uomo ripugnante che chiama troia una donna che ha stuprato, come se le sue vittime potessero scegliere o traessero piacere da quell’abominio distruttivo.
In risposta, la ragazza gli torce ancora di più il braccio, facendolo urlare più forte.
“Le suggerisco di smettere di lottare, o il dolore diventerà ancora più intenso,” gli dice lei, con voce piatta e calma.
“Ma chi cazzo sei?” chiede Jean-Louis, il fiato gli si condensa in una nuvola di vapore davanti al viso. L’uomo nota che non c’è condensa davanti al volto della donna, come se non respirasse affatto.
“La mia designazione è Neva Desyat, androide di eliminazione di seconda classe,” risponde lei, con voce inespressiva. “Le chiedo di cessare ogni resistenza o sarò costretta ad agire di conseguenza. Non verrà avvertito ulteriormente.”
“Fottiti, baldracca!” Jean-Louis dimostra anche una ben scarsa gratitudine verso quelle povere donne che, al bordello, sono state così caritatevoli, o disperate, da accettarlo come cliente ed il tipo di turpiloquio che esibisce ne è dimostrazione più che evidente: puttana è per lui un insulto, sebbene sia inconsapevole che così facendo si sminuisce da solo, non avendo egli stesso alcuna alternativa nella ricerca di una compagna, nemmeno di questi tempi in cui le donne sono dieci per ogni uomo e le prostitute che in strada si concedono per pochi spiccioli persino ai rifiuti umani come lui sono uno spettacolo comune sotto la luce dei lampioni a gas di città.
“Negativo,” è la laconica risposta della strana ragazza.
Jean-Louis nota che i lineamenti di lei sono stranamente troppo regolari. Belli ma inquietanti, come quelli di una bambola troppo perfetta. Una strana commistione che insinua nell’inconscio un disagio difficile da esprimere a parole. Cosa vera soprattutto per chi, come il Verger, stupratore seriale e assassino, ha un cervello ed un vocabolario limitati dall’ignoranza di cui si è sempre fatto vanto.
L’ultima cosa che Jean-Louis sente è il disgustoso schiocco del proprio braccio sinistro che si spezza, poi le tenebre avvolgono la sua coscienza in un’oscurità che, tuttavia, è ben differente da ciò che il bruto si è abituato a considerare il proprio elemento naturale.