Lei

Lei, la depressione. Nel suo abbraccio ci si scalda e ci si muore. Un racconto di Alessandra Lusso.

 
Quando la fece entrare nella sua stanza, Lei si sedette come al solito sul fondo del letto, facendo attenzione a non schiacciargli le gambe raggomitolate sotto le coperte. Poi lo guardò con occhi splendidi e oscuri e gli disse: «Hai tutte le ragioni per stare male.»
Il fatto che non pronunciasse mai il suo nome lo rassicurava e lo metteva a disagio allo stesso tempo. Si mise seduto, le prese con dolcezza le mani e dentro sentì come aprirsi una voragine.
«Vieni», le sussurrò.
Lei si tolse gli abiti e si infilò sotto il lenzuolo, portando con sé un brivido di freddo. Non esistevano gioie o parole d’amore capaci di trascinarlo lontano dalla realtà quanto Lei riusciva a fare con la sua semplice presenza.
 
L’aveva vista per la prima volta in compagnia di suo padre. Era entrato di soppiatto nello studio e lo aveva sorpreso seduto alla scrivania, nella poca luce che filtrava dalla serranda abbassata. Pensava di trovarlo come al solito intento a spulciare qualche tomo di medicina, invece lo trovò immobile, con la fronte appoggiata sulla mano e lo sguardo aggrappato a qualche pensiero.
«Cosa fai papà?»
«Rifletto. Ora esci, per favore. E chiudi la porta.»
Se n’era andato in fretta, ma aveva fatto in tempo a vederla. In piedi dietro la sedia del padre sembrava una sagoma ritagliata nel buio. Con la mano posata sulla sua spalla, in quel momento non avrebbe saputo dire se lo stesse consolando o tenendo bloccato alla sedia.
 
E pensare che per Lei aveva anche lasciato Sara. Ogni tanto gli tornava in mente il suo viso, offuscato come un sasso adagiato sul fondo di uno stagno.
Perché aveva smesso di amarla? Ormai non lo ricordava.
 
Negli anni, le visite si erano fatte più frequenti. Il padre si ritirava nello studio appena ne aveva occasione e Lei lo tratteneva in sua compagnia sempre più a lungo, sempre più spesso. La mamma, che amava trovare un modo carino per spiegargli le cose, gli diceva che non era niente, che le persone a volte avevano le lune. Ma lui sapeva che non era la luna, era la notte a venirlo a trovare.
 
Lei lo avvolse con le sue ali e gli disse: «Dimentica, dimentica tutto.»
Accoglierla fu come iniettarsi eroina in vena. Solo che la dose era il dolore. Ogni volta era come giocare a trattenere il respiro, rimanendo in bilico in quell’istante tra il torpore e l’asfissia. Ogni volta, però, tornare indietro era sempre più difficile, specialmente adesso che non era più un bambino e la mamma non aveva più parole carine per spiegargli le cose.
 
Del padre dissero che si era tolto la vita, che era diventato pazzo, ma lui sapeva che la colpa era della notte alata che lo veniva a trovare. Allora si disse che se l’avesse aspettata al buio nello studio, proprio come faceva il babbo, forse prima o poi sarebbe venuta a trovare anche lui. E così fu.
Come prima cosa le chiese: «Perché?»
E Lei gli rispose: «Te lo mostrerò.»
Poi gli mise la mano sulla spalla e tutto il resto del mondo sparì dietro una coltre di buio.

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