L’ultima riparazione

«Ragazzo! Abbiamo un guasto!»
Appoggiai il pezzo di metallo che stavo limando e mi girai verso il vecchio Mot. Tutti erano ragazzi, per lui.
«Dove?» gli chiesi.
«Giù al tunnel della Chiesa,» indicò il pannello della rete energetica del villaggio, «è uno dei tubi grossi, dove ci siamo agganciati direttamente alla linea centrale di Sopra.»
Sbiancai, ma Mot non lo notò nella penombra.
«È un problema…»
«È un problema sì! Se perde pressione se ne accorgeranno pure loro. Dobbiamo ripararlo o far sparire l’allacciamento» Mot scosse la testa.
«Sapevo che era stupido attaccarsi alla linea centrale. Che bisogno c’era? Avrei volentieri messo su dieci allacciamenti a tubi più piccoli pur di non rischiare.»
«Non stava a noi decidere, — disse Mot, mentre recuperava una sacca di attrezzi e me la lanciava.»
«Non è mai stata una buona idea rubare il vapore da quelli di Sopra, da in partenza.» Misi al collo gli occhiali protettivi.
«15:38?»
«15:38» risposi, dopo aver estratto il mio orologio. Ero sincronizzato.
«Alle 15:50 sgancio il nostro sistema. Hai abbastanza tempo per arrivare sotto alla Chiesa e valutare il danno. Da quando apro le valvole hai un’ora per riparare o isolare il guasto.»
«Dammi del filo da saldatura, di quello buono.»
«Stagno e argento,» Mot mi lanciò una grossa bobina, «tutte quello che ci resta. Spicciati, o rischiamo che qualcuno da Sopra si insospettisca.»
Corsi fuori, lungo la via illuminata da lampade a gas. Tutti erano nei tunnel a caccia o a raccogliere rottami, a quell’ora.
Passando dalla piazza del mercato feci segno all’unica anima presente, un bambino nero come il carbone che trasportava: «Vieni con me, è un’emergenza!» Mi riconobbe, abbandonò il suo carico e mi seguì senza protestare. L’avrei mandato di corsa da Mot in caso di bisogno.
Arrivato al tunnel che cercavo, mi abbassai per evitare il primo arco di mattoni sporgenti e mi lanciai nel buio. Entro poco gli occhi si sarebbero adattati.
Fu facile trovare il condotto che cercavo, mi bastò seguire il fischio stridulo e il calore. All’ultima svolta il suono calò d’intensità diventando tollerabile: Mot aveva sganciato la rete.
Alzati gli occhiali riuscii a valutare meglio la situazione. Un grosso squarcio partiva dalla giunzione. Dovevo tirar giù tutto e chiuderlo.
Sospirai. «Stai indietro, è pericoloso» dissi al giovane cooptato.
Estrassi un mazzuolo e mi misi al lavoro. Staccato il tubo della rete del villaggio e impilatolo a pezzi in un angolo, tirai fuori delle piastre metalliche dalla sacca. Una volta in forma sarebbero state perfette per riparare il danno.
Annuivo, compiaciuto perché mi restava ancora mezz’ora, quando sentii un un ronzio, una forte luce mi ferì gli occhi. Una voce mi intimò: «Fermo dove sei! Fatti vedere o spariamo!»
Obbedii, andai incontro alla voce.
«Criminale! Hai fatto saltare il condotto e te ne stai pure a rimirare il risultato!»
Intravidi il ragazzino sparire nel buio.
Annuii per confermare l’accusa, inginocchiandomi di fronte ai moschetti puntati su di me.