L’uomo dello specchio

Assomigliare a se stessi o a un’idea di ciò che dovremmo essere? C’è davvero una scelta? Un racconto di Andrea Partiti.

 
Ogni notte Aldo si alzava, freddo e sudato.
L’uomo dello specchio lo aspettava, nella sua gabbia appesa al muro.
Scivolato fuori dalle coperte, Aldo osservava la sua immagine. Spesso non riusciva a prenderla alla sprovvista, lo seguiva in ogni movimento, ma era una finzione. A volte era troppo lenta, e in rari casi l’aveva trovata addormentata. Forse l’immagine non aveva sentito il cigolare del letto, forse si prendeva gioco di lui.
Al mattino Aldo ricordava appena le indagini notturne. Si costringeva ad alzarsi, ad andare al lavoro e lo specchio non sfiorava più i suoi pensieri.
 
Ogni notte Aldo si alzava, ma quella notte il riflesso non lo imitò. Si avvicinò al viso di Aldo, lento e deliberato, e urlò silenziosamente una sola parola. “Sorridi.”
Al mattino Aldo fece colazione sorridendo, uscì di casa, sorrise a tutti i clienti, sorrise ai suoi vicini, sorrise ai passanti. Se si distraeva e tornava serio come sua abitudine, occhi scuri lo minacciavano, da una finestra, un monitor buio, un bicchiere d’acqua. E sorrideva di nuovo.
 
La sua immagine c’era sempre, nascosta nel grande specchio tondo.
Quando era il momento lo aspettava in piedi, seria, senza più fingere di essere un riflesso del vero Aldo. Con voce muta lo attirava per dargli nuovi ordini. Si avvicinava, scrutava Aldo con disprezzo e urlava il nuovo comando.
 
“Raditi.” E Aldo il mattino dopo si rase con cura la barba, fermando il tremore della mano, e così ogni mattino successivo, prima della sorridente colazione.
 
“Elegante.” E non si mostrò più senza vestirsi elegante, sorridente e con attorno al collo — perfettamente raso — la stretta della cravatta a ricordargli la paura che ormai lo governava.
 
“Carriera.” E Aldo ebbe addosso lo sguardo crudele per settimane, fino a quando, durante un colloquio di lavoro, notò un ammiccare di approvazione nel suo riflesso sugli occhiali dell’intervistatore.
 
Per anni obbedì a ogni nuova richiesta, paralizzato da minacce mai pronunciate, intrappolato da occhi impossibili da sfidare, capaci di raggiungerlo ovunque.
Lasciò che questi ordini guidassero la sua vita, che la modellassero con poche sillabe.
Solo durante la notte, chiuso in casa, da solo e buttato sul letto su cui lo specchio torreggiava come un crocefisso maledetto, poteva rilassarsi e smettere di obbedire.
 
Aldo era vecchio ormai, ma le sue giornate erano sempre uguali. Raditi, vèstiti elegante, sorridi, lavora, obbedisci.
Quel giorno tornò a casa a notte fonda. Appoggiò la sua valigetta sul letto. Il grande specchio era buio sulla parete. Gli si accostò senza uno scopo preciso, forse per sistemare una ciocca di capelli.
Vide gli occhi scuri del suo doppio. Il respiro gli si mozzò, da tanto non c’erano nuovi ordini ed era quasi certo che fossero finiti. Attese qualche secondo immobile che il riflesso si avvicinasse e urlasse.
Ma l’immagine era perfettamente sincronizzata, nessuna esitazione, nessuna differenza.
Vide che nel terrore era diventato l’uomo perfetto, l’uomo dello specchio.