Intervista a Gianluca Morozzi

SPARTACO: Diamo il benvenuto a Gianluca Morozzi, autore di un numero imprecisato di libri e racconti, nonché guest star di Minuti Contati per il mese di dicembre 2016.
Ciao Gianluca, prima di qualsiasi intervista passo dei giorni a documentarmi sull’autore, leggendo i suoi libri e scavando un po’ nei suoi interessi. Nel tuo caso lo sto facendo da mesi, eppure ho la sensazione di aver solo grattato la superficie. Spiega ai nostri utenti chi sei.
 
MOROZZI: Un uomo piuttosto affascinante, a suo modo, single, al momento, quindi, ragazze, approfittatene. Al di là di questo dettaglio non troppo letterario (ma un po’ sì), posso dire che ho trascorso tutti gli anni Novanta partecipando a concorsi per esordienti, e perdendone ottanta su ottanta. E che il mio primo romanzo, Despero, è uscito il 12 settembre 2001 per Fernandel Editore. I giornali, quel giorno, stranamente parlavano d’altro.
 
SPARTACO: Per molti la musica è importante. Ci sono autori che scelgono la colonna sonora e poi si mettono a scrivere. Addirittura, Matteo Di Giulio in Figli della Stessa Rabbia (agenzia X 2016) ha segnato a bordo pagina la sound track da ascoltare durante la lettura. Nel tuo caso invece è diverso, i tuoi libri sono pregni di musica, senza metterla puoi sentire il ritmo, lo puoi seguire. Che rapporto c’è tra i tuoi libri e la musica?
 
MOROZZI: Ho esordito parlando di una band immaginaria, i Despero. Ho scritto due libri che girano intorno a Springsteen, e uno che si intitola Bob Dylan spiegato a una fan di Madonna e dei Queen. Ho scritto L’Emilia o la dura legge della musica(Guanda, 2006), ho ipotizzato un modo di viaggiare nel tempo usando una certa combinazione di note, e ho cambiato la storia del rock tramite Johnny Grey, un viaggiatore temporale. Sì, direi che c’è un buon rapporto tra i miei libri e la musica.
 
SPARTACO: All’editoria piace mettere un’etichetta su tutto, serve a vendere, Gianluca Morozzi che genere scrive?
 
MOROZZI: Credo sia un po’ come dire (senza fare paragoni) “che genere faceva Andrea Pazienza?” o “che genere fa Neil Young?”. Mi piace scrivere cose molto diverse tra loro, alcune divertenti (almeno spero), altre noir e spietate, altre ancora difficili da inquadrare.
 
SPARTACO: Eppure so che nel tuo passato c’è anche della fantascienza, quello è un genere che hai abbandonato? Per quale motivo?
 
MOROZZI: Ho scritto racconti di fantascienza (bruttissimi) per tutti i miei primi dieci anni di tentativi. Ma anche ora ce la metto, in qualche modo… nei miei romanzi ci sono tre diversi supereroi, viaggi nel tempo o alieni alla Douglas Adams. Mi piacerebbe usarla in stile Westworld, adesso, o Black Mirror, o The Lobster .
 
SPARTACO: Tornando alla musica, tu sei anche un chitarrista e suoni negli Street legal, una tribut band di Bob Dylan. Ti senti più libero con la chitarra in mano o scrivendo?
 
MOROZZI: Scrivendo. Con la chitarra sono talmente incapace da provare vergogna più o meno sempre. Anche se, per fortuna, la vergogna è la prima cosa che rimuovi quando inizi a fare lo scrittore.
 
SPARTACO: Domanda d’obbligo: cosa ne pensi del Nobel assegnato a Bob Dylan?
 
MOROZZI: Ne penso bene. Non avreste dato il Nobel a Shakespeare, se fosse stato vivo? Lui è il nostro Shakespeare. E che non vada a ritirarlo, conoscendo il personaggio un po’ meglio di chi ancora crede che faccia canzoni di protesta con chitarra e armonica, non mi stupisce neanche un po’.
 
SPARTACO: Dylan, Elvis o Springsteen?
 
MOROZZI: Elvis, confesso, l’ho sempre vissuto marginalmente. Bob e Bruce sono parte della mia religione laica personale.
 
SPARTACO: E in Italia, chi rappresenta il rock nostrano?
 
MOROZZI: Federico Fiumani, per esempio. I fratelli Severini. Giorgio Canali. E tanti altri.
 
SPARTACO: Sei un estimatore di Chuck Palahniuk. Quanto ti ispiri ai suoi romanzi e cosa prenderesti dalla sua scrittura?
 
MOROZZI: Chi non muore deve moltissimo a Rabbia, di Palahniuk, anche se non sembra. Amo molto quelle sue trame con delle svolte improvvise, violente e inaspettate. E il fatto che non abbia alcuna vergogna, che faccia di tutto per divertire il lettore.
 
SPARTACO: I tuoi romanzi sono continue rasoiate. I protagonisti sono personaggi con molte ombre e poche luci. Da dove prendi l’ispirazione?
 
MOROZZI: Dai treni regionali che spesso frequento. Dalla rumorosissima carrozza silenziosa del Freccia Rossa. Da trentadue anni di stadio. Trovare personaggi è facile, basta osservare. E ibridarli.
 
SPARTACO: Che rapporto hai con Bologna?
 
MOROZZI: Lo stesso che ha Woody Allen con New York.
 
SPARTACO: Cosa puoi raccontarci, senza spoilerare, di Confessione di un povero imbecille (Fernandel 2016)?
 
MOROZZI: Intanto che il libro contiene il cd omonimo degli Avvoltoi, un album tutto ispirato a Despero. Il romanzo invece di Despero è il seguito (ma anche un po’ un prequel, all’inizio) e racconta quel che è successo a Kabra da quando lo abbiamo lasciato mentre usciva da un’osteria, di notte, in Colui che gli dei vogliono distruggere. In quel momento era felice per aver trovato una melodia in sogno. Ecco: qui inciderà quella melodia, mettendoci un testo in italiano, la farà diventare il singolo portante del nuovo album, se ne vanterà pubblicamente. E poi scoprirà con orrore che era sì una bella melodia, ma era quella di Supper’s ready, dei Genesis.
 
SPARTACO: Leggendo Radiomorte (Guanda 2014) mi sono trascinato un dubbio fino a quando tu stesso, all’interno del libro, mi hai chiarito le idee. Il libro si legge tutto d’un fiato ed è ricco di tensione. Però, nonostante la trama intricata, o forse proprio per quello, in alcuni momenti si respirava l’aria della soap opera Argentina. È colpa del nostro essere “latini”? Mi spiego, gli Americani ci riempiono di storie simili, eppure nessuno si azzarda a fare un simile accostamento. Se invece di Bologna l’avessi ambientato a New York sarebbe cambiato qualcosa?
 
MOROZZI: Mettila così. L’anno scorso è uscito Perfetti sconosciuti, un film intelligente, una bella idea ben giocata, un finale di quelli che piacciono a me. Però ho letto anche molte critiche del tipo Ah, i soliti attori romani, il solito salotto borghese, il solito cinema italiano due camere e cucina. Se fosse stato francese avremmo assistito a qualche beatificazione, del tipo Ah, come fanno questi film i francesi non li sa fare nessuno. E quel che accade in Radiomorte, a livello familiare, è una cosa neppure troppo inverosimile.
 
SPARTACO: A livello di mercato, quanto ci penalizza scrivere storie italiane, in italiano?
 
MOROZZI: Moltissimo. Come nella musica: non è uguale fondare una band a Baricella o a Birmingham. Però, per fortuna, ci sono sempre le eccezioni che ci danno speranza.
 
SPARTACO: Ormai scrivi da parecchi anni. Cosa ti ha portato a iniziare? Quali erano i tuoi idoli letterari?
 
MOROZZI: Ho iniziato perché, nella stessa estate, a Igea Marina, ho letto La lunga marcia di un tale Richard Bachman e la biografia di Isaac Asimov. Che è diventato uno dei miei primi idoli, insieme a Stephen King (che in realtà era Richard Bachman).
 
SPARTACO: Dei tuoi tanti libri, ce n’è uno a cui sei più affezionato?
 
MOROZZI: L’era del porco (TEA, 2008). Che peraltro è esaurito, in attesa di ristampa, e sta diventando, a quanto pare, un oggetto di culto.
 
SPARTACO: Il palcoscenico italiano è ricco di ottime penne. Consigliaci qualche autore e qualche libro.
 
MOROZZI: Il problema è che, sì, ci sono ottime penne ma in buona parte sono miei amici, per cui sono sempre in imbarazzo di fronte a questa domanda, per un semplice fatto di conflitto di interessi personale.
Ma, davvero, in privato vi dico almeno trenta nomi e trenta titoli. C’è gente brava davvero, qui.
 
SPARTACO: Negli ultimi mesi ci stiamo interrogando sul mestiere dello scrittore in Italia. Qualcuno dice che non è mai esistito, altri che è una strada tortuosa che si può intraprendere. Si può vivere di scrittura?
 
MOROZZI: Io ci vivo. E la butto lì così, con arroganza.
 
SPARTACO: A dicembre sarai chiamato a essere il giudice della novantatreesima edizione di Minuti Contati. Che giudice sarai?
 
MOROZZI: Io sono molto buono e incoraggiante, come giudice. Però ho i miei gusti e i miei criteri, ovviamente.
 
SPARTACO: I racconti che dovrai commentare e classificare saranno di massimo tremila battute. Hai mai scritto racconti così brevi? Cosa ti aspetti di leggere?
 
MOROZZI: Ne ho scritto uno brevissimo che si intitolava L’estinzione, era di sei righe. Ma ovviamente il record è di Hemingway col suo racconto in sei parole “Vendesi scarpe da bambino. Mai usate.”
 
SPARTACO: Grazie per la pazienza, siamo giunti alla fine di questa intervista. È un piacere averti come guest star di Minuti Contati e spero possa esserlo anche per te. In bocca al lupo per i tuoi progetti.
 
MOROZZI: Grazie a voi.