Il paradiso degli scrittori

La verità è che ti dicono sempre che dovresti scrivere per gli altri, ma io gli altri me li immaginavo uguali a me.” Secondo classificato nella Quarta Edizione della Quinta Era con Gianluca Morozzi nelle vesti di guest star, un racconto di Ambra Stancampiano.

 
La cosa più bella che mi è capitata nella vita, è stata la mia morte.
Vi sembrerà esagerato, ma è stato davvero spettacolare: ne hanno parlato tv, giornali, riviste, il popolo di internet è impazzito. Sono finito perfino sui Darwin Awards, anche se non sono convinto di essermelo meritato. Diciamo che le circostanze della mia morte sono state più scoppiettanti del previsto, ecco tutto.
La cosa più esplosiva, comunque, non è stata la valigia di tritolo su cui sono inciampato ma le vendite dei miei libri, che sono schizzate alle stelle insieme ai primi titoli di giornale.
Alcuni mi hanno dato dell’eroe, altri del coglione, ma tutti hanno comprato il mio romanzo. Dopo le prime recensioni positive, mia moglie ha pubblicato i miei racconti, la mia sceneggiatura teatrale, perfino le lettere erotiche che le scrivevo quando sono partito militare. Si è fatta un sacco di soldi, ma mi ha tenuto vivo.
Qui nell’aldilà degli scrittori funziona così: siamo delle ombre un po’ sbiadite, e più il tuo nome è nominato più ti mantieni corporeo. Poi vediamo tutto e volendo potremmo anche parlare coi vivi, ma succede qualcosa dopo il trapasso, in un certo senso non ci interessa più.
Il mio nome adesso viene scritto, letto e nominato di continuo: su di me fioccano le recensioni, i commenti, gli articoli. Esiste un premio letterario che porta il mio nome e ho una voce tutta per me su Wikipedia.
C’è una cosa, però, che mi turba: il mio fan club.
La verità è che non li capisco: l’altro giorno un ventenne si è fatto una foto con una copia dei miei Racconti scritti al buio e l’ha postata su twitter, dicendo che il personaggio di un racconto gli aveva ispirato il look del giorno: aveva un paio di baffi a manubrio posticci, occhialetti alla Gramsci, e indossava delle bretelle a Y su una felpa stampata insieme a un paio di jeans risvoltati a metà polpaccio e a dei mocassini viola acido. Giuro che non ho mai scritto sci-fi.
E ieri una ragazzina si è fatta una foto sexy e l’ha postata su tumblr insieme a una citazione estrapolata da un mio saggio sull’arte longobarda.
La verità è che ti dicono sempre che dovresti scrivere per gli altri, ma io gli altri me li immaginavo uguali a me.
Poco fa, durante l’inaugurazione di un coktail bar che porta il mio nome, hanno letto un brano del mio romanzo associandolo a una ridicola interpretazione new age mai sentita in vita mia; ho sentito un prurito acuto e fastidioso dalle parti del fondoschiena, poi sul malleolo sinistro, poi dietro le scapole. Ho cominciato a grattarmi come un forsennato. Proprio in quel momento di lì stava passando Bukowski; mi ha guardato con comprensione:
«Prude, eh?»
«Da matti! Ma che diavolo è?»
«Hai presente l’espressione rivoltarsi nella tomba?»
È scoppiato a ridere, prima di salutarmi. L’ho osservato allontanarsi, è uno di quelli che si mantengono meglio, qui. Ora capisco perché ha tutte quelle vesciche sulla faccia. E pensare che credevo di essere nel paradiso degli scrittori.

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