“Pellegrino disperato”

Cosa non si farebbe per uno sconto nell’epoca dell’autorealizzazione consumistica. Un racconto di Francesco Nucera.

 
Raul avanzava nell’erba alta, era partito all’alba da casa e le gambe gli facevano male, ma c’era quasi. A qualche centinaio di metri da lui, il centro commerciale “Calvario” svettava candido come sempre.
Abbassò il capo, sistemò gli spallacci dello zaino contenente il pegno della sua fedeltà, e ripartì. Il peso che trasportava non era eccessivo, ma gli stavano segnando la pelle.
Si bloccò, un canale d’irrigazione gli stava tagliando la strada. Si voltò e notò altre sagome che avanzavano. Fece due passi indietro, inspirò, guardò il cielo e partì di corsa. Arrivò al ciglio del canale e spiccò un salto. Il tempo si bloccò, gli uccelli smisero di volare e un alito di vento lo spinse sull’altro argine. Ruzzolò a terra, tagliandosi in più parti, ma ci riuscì. «Grazie!» sussurrò.
Gli ultimi cento metri furono i più faticosi. L’afa era insopportabile, sudava e aveva le spalle dilaniate dagli spallacci. Abbassò il capo e ripartì.
Un gruppo di ragazze lo incitava, mentre altri, con gli zaini in spalla, entravano di corsa.
Raul affrettò il passo, arrivò all’ingresso e le porte gli si spalancarono davanti. La luce del “Calvario” l’abbagliò e l’aria condizionata gli mozzò il fiato. Mise un piede dentro, barcollò e cadde a terra.
Un uomo in divisa si chinò per aiutarlo, gli mise le mani sotto le ascelle e si bloccò. Un altro con la stessa uniforme stava scuotendo la testa. «Non puoi aiutarlo, è il regolamento!»
Raul si scosse, non aveva fatto tutta quella strada per fermarsi lì. Serrò i pugni e si rialzò tra lo scetticismo dei presenti.
Barcollò per qualche centinaio di metri. Un ragazzo gli corse davanti e gli scattò una fotografia. Raul alzò la testa e sorrise, ma le gambe gli cedettero. Cadde a terra.
Il ragazzino lo raggiunse e gli inforcò un cappellino. «Forza, se sei il figlio di Apple ce la puoi fare!» lo schernì.
Raul raccolse le forze, chiuse gli occhi e provò a non ascoltare gli insulti che piovevano da ogni parte. “Dammi la forza” pensò. Si rimise in piedi e le gambe sembrarono reggerlo.
Superò la piazzetta, in cui le famiglie banchettavano sull’erba sintetica, e vide l’insegna con la mela. Fuori dal negozio, un uomo con una maglietta gialla lo guardava schifato.
Raul fece altri tre passi e andò a urtare contro una donna che aveva appena comprato degli spaghetti di riso. Le franò addosso, impattò sul pavimento e sentì una fitta al fianco. Abbassò lo sguardo: una bacchetta gli si era conficcata tra le costole.
Il dolore risvegliò l’adrenalina. Scansò la donna, si issò e arrancò fino all’Apple Store.
«Posso esserle d’aiuto?» chiese beffardo il commesso che lo stava fissando.
«La promozione!» sussurrò Raul.
«Mi spiace, ma “Pellegrino disperato: la tua sofferenza per un MacBook” è scaduta dieci minuti fa!»
Le luci al neon girarono attorno a Raul, il dolore alle spalle e al costato tornarono più forti di prima. Si lasciò cadere sulle ginocchia e iniziò a piangere. «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?» singhiozzò.

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