Serpeverde

Quando i sogni diventano incubi. Settimo classificato nella 108° Edizione di Minuti Contati con Andrea Carlo Cappi come guest star, un racconto di Viviana Tenga.

 
Come ogni bambina della sua generazione, Amelia era cresciuta con Harry Potter. A differenza di tutti gli altri, però, non aveva mai sognato di ricevere una lettera per Hogwarts o di imparare a volare su una scopa. A lei sarebbe bastato parlare con i serpenti. Per tutta l’infanzia, ci provò ogni volta che ne incontrava uno sulle strade di campagna intorno al suo paese, ma sempre senza risultati.
Poi, a tredici anni, quando ormai cominciava a essere disillusa al riguardo, aveva trovato una vipera sulla strada di casa. Gli occhi del serpente si erano fissati nei suoi. Amelia aveva avvertito un brivido, la sensazione che la vipera volesse dirle qualcosa. Si era chinata a raccoglierla e lei le si era attorcigliata con naturalezza intorno al braccio, come se non avesse aspettato altro. Sua madre aveva strillato un po’, ma Amelia era riuscita a ottenere di poter tenere con sé la vipera. Ovviamente, l’aveva chiamata Nagini.
Fu solo questione di giorni prima che serpente e ragazza riuscissero a parlarsi.
«Sangue freddo» diceva Nagini, o almeno queste erano le parole che Amelia sentiva nella sua mente. «Mantieni sempre il sangue freddo, e vedrai che riuscirai ad affrontare ogni cosa senza difficoltà.»
E questo era ciò che Amelia faceva. La scuola non andava bene. O meglio, i suoi voti erano ottimi, ma i compagni trovavano sempre modi per farla infuriare. Erano tutti così stupidi, così impulsivi nelle loro azioni, così oscenamente diversi da lei. Non la capivano ed erano convinti di farle un dispetto a escluderla dalla loro vita insulsa.
«Sii fredda» le diceva Nagini. «La loro impulsività è la tua forza. Impara a manipolarli. A essere una vera Serpeverde.»
In verità, a manipolare la gente Amelia non ci riuscì mai un granché. Con il tempo, però, aveva imparato a sviluppare un freddo distacco per tutto ciò che la circondava, a tenere la gente a distanza e a farsi rispettare.
Dopo la scuola, era arrivata l’università. Lì Amelia aveva conosciuto Tommaso. Tom. Il nome di battesimo era quello di Voldemort, ma l’aspetto era più simile a quello di Edward Cullen. Tommaso era come lei. Intelligente, dal carattere schivo, i modi ponderati. Ben presto Amelia aveva cominciato a pensare che forse avrebbe potuto rinunciare a un po’ della sua freddezza per avvicinarsi a lui. Era certa che anche lui potesse parlare con i serpenti. Sentiva che insieme avrebbero potuto fare grandi cose, forse addirittura cambiare il mondo, renderlo un luogo più ordinato e razionale.
Tornò a casa più agitata che mai quando, all’uscita da una lezione, lo vide tenersi per mano con una biondina dall’aspetto insignificante.
«Lei lo rovinerà!» esclamò non appena fu in camera sua con Nagini. O meglio, esclamò, sì, ma solo nella sua mente, perché era così che lei e il serpente comunicavano. «Lei è solo una persona normale, una Babbana, lui invece è speciale, solo che non lo sa…»
«Sangue freddo» disse Nagini. «A sangue freddo troverai una soluzione. Come sempre.»
E, come sempre, una soluzione Amelia la trovò. Scoprì che spesso la biondina percorreva da sola una stradina dove non passava mai nessuno. Organizzarsi non fu difficile. Una sbarra di metallo, se ne sentono tante di questi tempi, con tutta la brutta gente che c’è in giro chi mai avrebbe sospettato di una ragazza di buona famiglia?
Amelia era stata brava. Aveva ucciso mantenendo il sangue freddo. Stava facendo quello che era giusto fare. Stava salvando Tommaso da una storia che l’avrebbe rovinato. Se n’era convinta del tutto il giorno prima, mentre li vedeva baciarsi fuori dal dipartimento.
Solo quando era tornata a casa, qualcosa in lei si era spezzato. Senza capire perché, aveva cominciato a piangere, per la prima volta da tempo immemorabile, e le lacrime erano calde, calde e inarrestabili.
Per tutta la settimana seguente, non riuscì a uscire di casa. Con i suoi si finse malata, in quelle settimane ce n’era tanta di gente con l’influenza. D’altronde, era pallida, aveva perso l’appetito e i suoi occhi erano sempre un po’ lucidi.
Nagini aveva smesso di parlarle. Di sicuro, la disprezzava per quelle lacrime e per gli incubi che le impedivano di dormire la notte.
Amelia sapeva che in genere il morso di una vipera non contiene abbastanza veleno per uccidere un essere umano adulto. Ma sapeva anche che un morso al collo era molto più pericoloso di uno a una gamba o a un braccio; che disinfettare con l’alcool creava composti tossici; che lei quasi non mangiava da una settimana, che Nagini era più grossa di una vipera media e da tempo non aveva consumato veleno su nessuna preda.
Si era scoperta debole, troppo debole per fare grandi cose insieme a Tommaso. Ragionando a mente fredda, c’era una sola cosa sensata da fare. I suoi genitori non sarebbero tornati fino a sera.
Amelia tirò fuori Nagini dalla teca, sicura che avrebbe capito subito.
Se non altro, sarebbe stata come Cleopatra.