Ursula Centauri

Vincitore della Materia Oscura Edition, un racconto di Mario Pacchiarotti, omaggio alla grande scrittrice Ursula K.Le Guin.

 
La donna era stanca. Sfinita, chiuse gli occhi e sentì il sonno subito arrivare. Poi li aprì di nuovo.
Che bel sogno, pensò.
Fluttuava nell’aria, o forse in un liquido leggero come quella, intessuto di luminescenze iridate, soffici come fumo, ma apparentemente palpabili, mobili, animate di vita.
Bellissime.
Dove sono? Chiese in silenzio, più per ribadire un bisogno a se stessa che perché venisse esaudito.
«Nel passaggio» le rispose la Voce, o qualcosa che nella sua mente tale sembrava. Dolce, profonda, gentile.
Stava per chiedere: quale passaggio, ma capì prima ancora di esprimersi.
«Non è poi così terribile, vero?» chiese ancora la Voce, il tono divertito.
La donna annuì, non era affatto male.
«Penso ancora sia un sogno» rispose.
La Voce rise e lei, ascoltando quella lunga risata, priva di malizia, si chiese chi o cosa fosse quella creatura. Una risposta le balenò nella mente e cercò invano di cacciarla.
«Quindi esisti?» chiese, quando si arrese all’esigenza di sapere.
«Non amo le certezze definitive, ma d’altra parte se non esistessi non potrei pormi questo problema. Quindi, sì, esisto. Ma naturalmente la domanda è un’altra.»
Un sogno davvero strano, pensò la donna, ma decise di goderselo.
«Chi sei?»
«Vieni, scoprilo da sola.»
Prima di poter chiedere: da che parte, dove? Si rese conto che i riccioli di arcobaleno intorno a lei non vagavano a caso, ma parevano avere una meta. Si mosse in quella direzione e nel momento stesso in cui lo fece capì di essere come loro, sbuffo di luce boreale tra gli altri. Volò come un migratore in formazione disordinata finché in lontananza si cominciò a vedere una forte luce, e all’interno una massa scura in movimento. Man mano che si avvicinava si rendeva conto delle dimensioni immense dell’essere che lo stava attendendo.
Quando fu abbastanza vicina da poterne distinguerne chiaramente le forme, si fermò sconcertata. C’era una donna, o meglio, un simulacro di donna ideale, tribale, una venere africana: con i grandissimi seni rigonfi, la pancia tesa, i fianchi larghi che sorreggevano un culo pingue e sporgente…
Non è possibile, pensò.
«Ti aspettavi un vecchio con i fulmini tra le mani? Un grasso cultore della meditazione? Un vecchio barbuto e vendicativo? Quello che vedi è solo l’aspetto che nella tua mente rende meglio ciò che sono.»
«Non mi aspettavo un bel niente» rispose lei, scrollando le spalle.
«E allora? Che ne pensi? Quello che hai trovato è soddisfacente?»
La donna esitò qualche attimo, quindi annuì.
«Una Dea Madre» concluse. «Sì, per me è molto soddisfacente.»
«Madre, è vero, perché partorisco mondi» la Voce lo disse carezzandosi il ventre. «Ma anche padre, perché io dopo averli partoriti pianto in loro i semi migliori affinché diventino a loro volta creatori fertili di vita nuova.»
La donna sobbalzò. «Ahaaah! Lo vedi che sei frutto del mio subconscio? È proprio un sogno. Viene da me questa idea del doppio genere…»
La Voce rise brevemente, poi si fece seria.
«Io ho partorito il tuo mondo, che ti ha generata, e gli ho imposto un nome. Io ero prima di te, da sempre sono, sempre sarò.»
Lo disse con solennità e forza. Era verità, senza spazio per controbattere. Ci fu dunque silenzio, finché la Voce non parlò di nuovo.
«Ora è il tempo, un nuovo mondo sta per nascere. E anche il tuo momento è venuto, il passaggio si compie.»
Allungò una mano e intanto il ventre enorme pulsava.
La donna si lasciò prendere senza timore e tacque, mentre la dea, o il dio, o quello che era, si apprestava a partorire un intero pianeta.
Se lo vide venire incontro quando quello finalmente uscì fuori da quel corpo immenso e sformato, eppure bello. La mano, con un gesto veloce la fuse dentro di lui.
Fu tutt’uno con quello e provò un moto di gioia, prima di perdere la propria coscienza. Allora la Voce sorrise bonaria e impose il suo nome a quella creazione.
Quindi sollevò Ursula Centauri con un gesto misurato e solenne, e la/lo collocò al suo posto nel cielo.