14/05/1944

La vita, l’amore, la guerra in questo racconto di Nadia Fabbietti, secondo classificato nel Live di Monterotondo con Francesco Nucera come guest star!

 
Dritta in piedi, d’avanti al sole. Camilla osservava l’alba arrivare ogni mattina da 4 anni. Da quando sua nonna gli aveva raccontato di Antonio.
 
A casa.
Antonio lavora i campi, con suo fratello Cesare.
I campi sono i loro, hanno comprato una casa su di una collina. L’hanno comprata perché non vogliono padroni, perché vogliono dare ai loro figli qualcosa di loro.
Appena arrivati hanno piantato nel cortile una quercia, da quelle parti si diceva che “portava bene” proteggeva la casa e chi ci abitava.
 
In fondo alla collina c’è una fonte e un piccolo fosso che circonda tutta la proprietà.
Stanno bene Cesare e Antonio a casa loro con le mogli, i campi e quelli che lavorano li.
 
D’estate la sera, dopo cena, stanno tutti li a chiacchierare, a ridere e a guardare le lucciole. Poi c’è Ottavio che porta la fisarmonica e ballano.
Accendono un fuoco e i vicini sanno che si può andare a casa dei Treccia.
Li chiamavano cosi perché Giovanni, il nonno, con le foglie del mais intrecciava sedie e cesti.
 
Antonio ha una moglie, Ida. Ida è timida, riservata e brava a cucire. Gli piace più di tutto ricamare ma è anche forte a lavorare la terra.
Ha partorito Maria nel campo. Lo ricorda bene Ada, sua cognata, che lì ha imparato a far nascere. Non aveva mai partorito e non aveva mai aiutato, mai, nessuno a venire al mondo.
Maria nacque cosi tra sangue, acqua e terra immersa nell’amore.
Vittoria è nata a casa sul letto e c’era pure la levatrice.
 
Stelle e ferro
«Ida cara qui la guerra non finisce, mi avevano detto che stava per finire ma non succede.
Sono ormai giorni che sono qui dentro in trincea e la notte, sembra che il cielo cada sulla terra.
Sono piccolo, troppo piccolo per tutto questo rumore, non so sorreggerlo io il cielo, e non voglio che cada.
Scintilla, esplode, cade e non si ferma e scende il ferro. Il cielo si è fatto basso.
Ti ricordi quando ero a casa?? Che dormite mi facevo abbracciato a te, mi svegliava solo il caldo d’estate, allora mi alzavo andavo alla finestra a fumarmi una nazionale, guardavo le stelle e tornavo da te. Ti ricordi??
Ti ricordi quante volte ci alzavamo quando erano piccole Vittoria e Maria?? Quanto piangevano!! Ed io mi arrabbiavo!! Ti rendi conto?? Io mi arrabbiavo. Perdonami Ida, perdonami Ida per tutte le volte che mi sono arrabbiato per quel pianto della notte che ti chiedevo di quietare!
Piango io ora, piango e vorrei averti qui che mi abbracci e mi canti una ninna nanna.
Ida il cielo è basso qui e cadono le stelle sugli uomini e le stelle li uccidono a questi uomini, li uccidono ed io da solo non so come non farle cadere le stelle.
Prego e sparo; urlo e sparo, urlo prego e sparo!! Imploro ogni notte basta.
Piango e prego, chiedo aiuto. Chiedo almeno che arrivi l’alba. Prego all’alba di tornare e che si porti via tutto!!
Prega Ida, prega che torni la pace, prega che le nostre figlie crescano forti, che costruiscano la pace domani, quando tutto sarà finito.
Ti amo e chiedo perdono per questo mi sfogo ma tu sei forte, sei sempre stata forte, più forte di tutti noi. Nel tuo silenzio nella tua calma, con i tuoi ricami e i vestiti belli che hai sempre fatto per tutti noi. Hai sempre, nel silenzio, cucito l’amore per noi.
Ci hai tenuti insieme. Ti amo Ida e sono cucito a te.
Ti consoli che oggi sono ancora qui e sono vivo.
Tuo Antonio.»
 
Arrivi
Arrivarono i tedeschi a portarlo via dalla trincea, lo fecero prigioniero, e lo portarono in Germania Stalag IV-D Neuburxdorf. Ma prima fecero una sosta in un campo di raccolta vicino casa.
Cesare corse da lui, insieme a Umberto. Umberto era uno che si occupava di mercato nero e che conosceva la gente, quella che per un paio di scarpe nuove regalate, ti faceva i favori di cui avevi bisogno. E se ci aggiungevi un po’ di farina te ne faceva anche un altro.
 
Scarpe e farina.
«Antonio dai che ti portiamo a casa!! Non ti preoccupare che questa notte sei fuori!!»
Piangeva senza sosta Cesare.
«Augusto, quello che ci ha fatto incontrare; affidati a lui che ti fa scappare. Noi ti aspettiamo qua fuori.
È tutto pronto. Poi ti portiamo per un po’ di giorni da un altro amico per nasconderti. Ci siamo quasi Antonio!!!»
 
«No, ma non posso scappare. Non posso farvi rischiare. E se vi scoprono?? Tu Umberto hai tre figli. E tu Cesare, devi prenderti cura della terra. A casa ci sono 4 donne! Non possiamo rischiare. E se poi scappo e mi trovano?? lo sai vero che ci ammazzano a tutti??»
La guerra sta per finire. Mi mandano in un campo di lavoro, ho sentito che li trattano bene ai militari.
Il peggio è passato. Oggi ho anche mangiato e dormito!! Non vi preoccupate, tra poco ritorno a casa da uomo libero.”
 
L’ultima lettera che Ida lesse, fu quella che il parroco dello Stalag trovò nella tasca della giacca di Antonio, prima di seppellirlo.
Era il 14 maggio 1944.
 
«Cara Ida, ti amo. Il cielo non cade più giù di notte. La mattina quando guardi il sole pensa che noi ci saranno solo giorni di bellezza.
Le nostre preghiere sono state ascoltate! Ora, davanti al sole, nulla mi può più toccare. Ti abbraccio, tuo Antonio.
Sono salvo.»