25 novembre

25 novembre

Passo la spugnetta sotto l’occhio ma il risultato non cambia, forse con l’illuminante. Lo prendo e mi scivola dalle dita. Sbatte contro la ceramica del lavello: stupida! Stupida che sono!
La polvere si sparpaglia ovunque. La raccolgo con la punta delle dita, è un regalo e io sono riuscita a romperlo. Avrebbe ragione ad arrabbiarsi con quello che lo ha pagato.
Ne recupero più di metà e sciacquo via il resto. Che cos’è questo trillo?
Il forno! Ma che cos’ho oggi?
Mollo la piastra e corro in cucina. È tardi e per una volta che Luca si è deciso a invitare il suo capo a cena, io non combino altro che casini.
L’odore è buono però, si sente la carne, il coriandolo. Spalanco lo sportello e mi investe una nuvola di vapore. Arriva anche un sentore d’aglio.
Tiro fuori il polpettone. Ha un bell’aspetto, sembra dorato e croccante.
Almeno questo l’ho fatto bene.
Chiudo la porta di mezzo, Luca non sopporta l’odore di cucina in salone, e io, come una cretina non faccio che dimenticarlo.
Accendo il vaporizzatore ed esco in terrazzo. Devo togliermi l’odore del polpettone dal naso prima di rientrare o non capirò mai se la stanza puzza.
Si sta bene, non sembra nemmeno novembre. Prendo un bel respiro, sono troppo nervosa e rischio di fargli fare brutta figura.
La sua macchina parcheggia nel vialetto, mi sporgo sulla ringhiera così lo saluto.
Sbatte lo sportello, dov’è il suo capo?
Solleva lo sguardo. «Prendi il fresco?»
Perché è arrabbiato? Sollevo due dita. «Ti aspettavo…»
Tira fuori il cellulare. «Complimenti! Mi aspetti con le finestre spalancate a novembre! Tanto c’è lo stronzo che riempie il bombolone, vero?»
Ha ragione ma non posso dirgli che ho di nuovo dimenticato la porta della cucina aperta.
Faccio un passo indietro, se chiudo adesso sembra che non voglia parlargli. Mi schiarisco la voce. «Ti aspetto dentro, allora.»
«Sarà meglio.» Digita un numero a memoria e io serro anche la persiana.
Mi fa male il petto come se fosse stretto in una morsa, non riesco a prendere fiato.
Va bene Ilaria, calmati. Non è niente, adesso gli preparo un aperitivo, così si rilassa.
È nervoso perché quello stronzo del suo capo non è venuto.
Tiro fuori il bitter dallo scaffale dietro al divano. Mi tremano le mani, sembro scema.
Due dita, non di più, non gli piace forte.
La chiave gira nella toppa, dove diavolo è il prosecco?
«Che cos’è questa puzza?» Sbatte le chiavi da qualche parte.
Quale puzza? Ho chiuso la porta, l’ho chiusa!
Mi sistemo la camicetta, non gli piace vedermi in disordine.
Stringo il bicchiere, le mani continuano a tremare e non voglio farlo cadere. «Tesoro vuoi bere qualcosa?»
Ha ancora addosso il soprabito, butta la valigetta sul divano e mi squadra.
Ho messo la camicetta che mi ha regalato, me l’aveva chiesto lui. Cosa c’è che non va?
Appoggio il bicchiere sulla consolle, perché mi gira la testa?
«Ma che cazzo hai fatto in faccia? Fai schifo!»
Cosa?
Indica lo specchio sopra alla consolle.
Il livido sotto l’occhio non si vede così tanto, sembrano occhiaie, non ho potuto usare l’illuminante ma davvero sembrano occhiaie. «Tesoro non ti arrabbiare, ma…»
«Ma che?» Allunga una mano e io trattengo il fiato.
Afferra il colletto della camicia e scopre la spalla.
I lividi sul collo e sopra al petto sono tutti lì, in bella mostra. «Non… non ci ho fatto caso.»
«Tu non fai caso a un cazzo, Ilaria!» Afferra il bicchiere e butta giù quella specie di Spritz con una sola sorsata. «Per fortuna che Bianchi non è venuto, come cazzo lo avresti accolto? Ma non lo vedi che fai schifo?» Mi dà una spinta, barcollo e appoggio le mani sulla consolle. Abbasso lo sguardo. «Scusa.»
Allarga le braccia. «E che cazzo è ‘sta puzza?»
«Ho preparato il polpettone, ma—»
Non lo vedo caricare il pugno ma il dolore mi esplode in faccia, in testa e corre giù per il collo, fino alle spalle. Cado a terra e la bocca si riempie di sangue. «Ho chiuso la porta…» Biascico, le parole si impastano.
Un calcio mi sbatte contro al muro, sento esplodere la schiena e il torace.
«Non è il polpettone a puzzare,cretina! È plastica!»
La casa è un vortice e le pareti sembrano molli, la piastra! Ho dimenticato la piastra. Allungo una mano, non arrivo alla consolle e cado carponi.
Passi di corsa: i suoi passi di corsa. «L’hai lasciata accesa! Ma quanto cazzo si deve essere stupidi!» Me la sbatte addosso.
Mi copro il viso con le mani. «Tesoro, non—»
Un altro calcio e finisco sopra alla consolle che si fracassa a terra. Lo specchio è un esplosione di luce.
«Non posso passare la giornata a correggere le tue cazzate!» Si sfila la cinta e la arrotola.
Mi trascino indietro, mi viene da vomitare e i muri sono diventati liquidi. Sfioro un frammento dello specchio, lo stringo.
Il dolore mi apre gli occhi, e Luca è proprio lì. La sua gola è lì.
Allungo il braccio, urlo.
 
Respiro.
 
Ha gli occhi spalancati, anche la bocca e credo si sia pisciato addosso. Il sangue ha smesso di spruzzare, esce a ondate sempre più lente e la gola non gorgoglia più. «Tesoro non ti arrabbiare, ma non credo riuscirò a pulire il tappeto, forse dovrò buttarlo.»