A Casa re Tri Tocchi

Esiste una via certa verso la guarigione? Vincitore della 114° Edizione di Minuti Contati con Andrea Cavaletto come guest star, un racconto di Andrea Patti.

 
Corri.
«Cazzo cazzo cazzo»
Non voltarti.
Non voltarti, Greta, non pensarci nemmeno.

«Ci sono dietro!»
L’aria esplode nel petto. Dentro e fuori, dentro e fuori.
Guarda avanti. Respira. Devi respirare.

«Non ce la faccio, non ce la posso fare.»
La paura torce la carne, serra la trachea con un cappio di sudore.
È così, è stato sempre così.
Corri.

 
Sembra ieri la prima volta che sei venuta in studio, la voce arrochita dal fumo e dal fingerti grande.
Avevi 16 anni e arrivavi da una Comunità sperduta chissà dove.
Anni prima, insieme a dei compagni più grandi eri andata alla Casa re Tri Tocchi, una masseria che i paesani dicono maledetta. Doveva essere un gioco, ma i tuoi amici avevano un piano diverso.

 
«Oh Dio!»
Ti avevo detto di non voltarti!
La prima sorella allungò le dita nodose verso Greta, portandola a sé.
Le orbite vuote nascondevano il peso di una vergogna eterna, un odio servo di valori antichi.
Greta restò a fissare quei pozzi di nulla.
La seconda sorella giunse presto.
 
Ti ritrovarono due giorni dopo.
36 punti di sutura, tra interni ed esterni. Le cicatrici erano già quasi scomparse quando i ragazzi vennero assolti per insussistenza del fatto.
Ti muovevi continuamente sulla poltrona, tirando le maniche della felpa a coprire le mani.
Non parlavi mai di quello che era successo.

 
La seconda sorella era minuta. Dal tronco squarciato colava melma nera ed esalava una nebbia sottile.
Mentre la prima teneva Greta stretta a sé, la seconda tentò di divaricarle le mandibole per insinuarsi dentro di lei.
Resisti. RESISTI!
 
La leggenda narra che nella vecchia masseria abitassero tre orrende sorelle. Essendo state respinte da tutti, al momento della morte maledissero chiunque sarebbe passato davanti la loro casa senza bussare tre volte per salutarle.
 
La terza sorella aveva uno specchio al posto del volto e unghie curve come falci.
Affondarono appena nel petto di Greta e ne emersero purpuree, pronte a colpire ancora.
NON TI POSSONO FARE NIENTE, ORMAI! NULLA TI PUÒ FARE NIENTE!
 
Cosa possiamo fare?
Possiamo rivivere quell’esperienza, insieme. Andare in quella casa, calpestarne il suolo, annusarne l’aria. Possiamo sfidare i fantasmi, le ombre, i ricordi.

 
Greta scosse il capo dagli abissi ipnotici della prima sorella.
Con un calcio si allontanò da quell’abbraccio.
Serrò la bocca di scatto, impedendo l’accesso della seconda.
Ne strappò un brandello con un morso e lo sputò a terra.
Le due sorelle si allontanarono da lei. Solo la terza si fece avanti, le unghie più vicine che mai.
Greta affondò le dita sottili nelle ferite lasciate da quest’ultima.
La carne cominciò a sfrigolare.
STRINGI I DENTI! STRINGI I DENTI!
Le tre sorelle si immobilizzarono.
Spesse lacrime cominciarono a solcare il volto di Greta.
Un urlo rauco le sgorgò di gola.
Le tre sorelle portarono le mani deformi al volto.
Crepe profonde cominciarono a percorrerne la pelle e per un attimo la pena si dipinse su quelle maschere mostruose.
Quindi si polverizzarono.
 
«Cos’è stato, dottoressa?»
Niente. Non è stato niente.
«Sembravano… sembravano conoscermi.»
Riprendi fiato, Greta.
«Dove siamo?»
Siamo nel mio studio, siamo sempre state qui.
«Chi erano?»
 
Come dirti che era tua madre, Greta. Che non riesce a guardarti, che per strada si annoda il fazzoletto stretto per proteggersi dagli sguardi taglienti.
Come dirti che eri tu, che ti imbrunisci i polmoni per sembrare forte, che ti marchi la carne per dare pace alle ossa.
Come dirti che ero io, che ti strappo i segreti dal petto e li vergo in sangue sul taccuino per dare un verso al mio tempo.

 
Però una cosa posso dirtela, Greta.
È un’isola bastarda, questa.
Ma tu sei più forte di lei.