Apparenze

Finalmente. La buona notizia è che la solita settimana di lavoro orribile si è conclusa. La cattiva è che l’orologio appeso alla parete del soggiorno segna già le ventuno quando apro il portone. Niente aperitivi, pub o altri locali del centro di Milano stasera.
Ho solo voglia di stendermi sul divano e dimenticarmi di tutto.
Dimenticarmi di tutti. Della testa di cazzo del direttore del supermercato dove lavoro, di quella stronza della mia compagna che mi ha mollato per un altro un mese fa, del lavoro di merda che mi ritrovo a fare a trentacinque anni nonostante una laurea in Storia antica e del divano di Ikea da trecento euro che ho sotto il culo e che rappresenta il pezzo forte del lussuoso monolocale in cui vivo.
Dimenticandomi anche di mangiare, sto per assopirmi e scivolare in un mondo popolato da incubi più che da sogni, quando una musica assordante riempie i muri e il pavimento con le sue vibrazioni, facendomi sobbalzare e bestemmiare tutti i santi del Paradiso. Nella mia ricerca dell’oblìo cosmico, ho cancellato anche il ricordo dei nuovi vicini e delle loro feste ripetute. Mi alzo togliendomi le scarpe con i piedi mentre cammino per poi scalciarle sotto il tavolo. Mi affaccio alla finestra che dà sull’immenso terrazzo dell’appartamento sottostante, acquistato dieci giorni fa da Miriam e Alfred. Scorgo una trentina di persone, tutte coppie sui quaranta. Sono belli, ben vestiti ed esibiscono orologi, collane e calici di cristallo da riempire come fossero trofei. Premi per la loro vita di successi da celebrare con riti e liturgie ogni maledetto fine settimana. I padroni di casa escono dalla porta finestra, lei tiene la mano sinistra a lui che nella destra afferra una Magnum di Dom Pérignon. Vengono accolti da un tripudio di applausi e fischi degli amici. Iniziano tutti a saltare a tempo di musica, una musica di merda per inciso, urlando «Brindisi!».
Alfred e Miriam mi sono rimasti sulle palle dalla prima volta che li ho visti. Mi hanno suonato per presentarsi come nuovi arrivati nel condominio. La mia repulsione visiva è stata immediata e si è intensificata quando li ho sentiti pronunciare i loro nomi da soap opera patinata. Spero sempre di non incrociarli sulle scale o davanti al portone per non sentirmi costretto a fingere una cortesia che sarebbe ipocrita. Invece anche stamattina ho beccato la bella quarantenne con i suoi tacchi dodici.
«Scusaci Maurizio» mi ha detto con la sua vocina soave «ma anche stasera abbiamo amici a cena e faremo un po’ di casino. Sai, ci piace festeggiare degnamente il battesimo della nuova casa.»
Mi ha guardato attendendo una risposta che non è arrivata.
«Perché non vieni anche tu? Sempre che non abbia già preso impegni. Ci faresti un gran piacere!»
Mi è uscito solo un «No grazie, come se avessi accettato». Non me ne frega un cazzo di sembrare scortese o addirittura maleducato.
Torno sul divano e mi addormento all’istante. Mi risveglio all’una con una fame da lupo. Metto un pentolino d’acqua sul fuoco per la solita pasta al tonno e apro la finestra per fumare una sigaretta nell’attesa. La festa deve essere finita. Sul terrazzo c’è solo Alfred appoggiato alla ringhiera con la schiena. Esce anche Miriam con una parrucca in mano. Scopro che è completamente calva.
«Vado a letto amore. Sveglia alle sette domattina. La chemio non può attendere.»