Cambiamenti climatici

Antichi misteri nascosti nel ghiaccio, apocalissi causate dal riscaldamento globale. Un racconto di Erika Adale.

 
Risaliva lento lungo la montagna, la picozza stretta nella mano, le punte dei ramponi che si conficcavano nella roccia. Il cielo era turchese, i margini delle vette ritagliati nell’aria limpida. Era sudato, non ricordava un’estate tanto calda.
L’uomo si fermò a riprendere fiato e ascoltò l’acqua che gorgogliava e fluiva verso valle, il lamento del ghiacciaio morente. Ricordò che, fino a pochi anni prima, il pendio era stato un’unica lastra lucente, spaccata dai crepacci; ora era un ammasso di fanghiglia e pietre, un paradiso agonizzante di morena. Si chinò a stringere un rampone, quando l’ombra oscura accanto a una roccia ancora ghiacciata attirò la sua attenzione. Una sagoma bruna giaceva semisepolta nella neve, le gambe e la schiena incastonate nel fango gelato.
L’uomo dapprima pensò a uno sfortunato alpinista, magari morto sulla vetta anni prima, per essere poi trascinato verso il basso dal movimento del ghiacciaio. Ma, osservando meglio, si accorse che non vi era alcuna traccia d’abito sull’esile torace, nessuno strumento d’arrampicata nei paraggi. Ricordò la mummia rinvenuta sulle Alpi alcuni anni prima, si domandò se non si trovasse di fronte a un’analoga scoperta.
Si inginocchiò e, aiutato dalla picozza, liberò il corpo dal ghiaccio che ancora lo ricopriva.
Osservò le braccia lunghe, longilinee, le mani e i piedi contratti ad artiglio. Rimosse la patina di ghiaccio dal volto e scoprì un volto raffinato, i cui lineamenti sembravano rilassati in un sonno profondo. Quell’uomo forse giaceva in quel luogo da secoli, o addirittura millenni. Magari era caduto in battaglia, oppure era stato colto di sorpresa e ucciso a tradimento.
Ruotò la salma sul fianco, per osservare meglio la schiena, ma il fiato gli sfuggì dai polmoni in una larga nuvola di condensa: accartocciate sulle scapole vi erano due larghe membrane nere, come le ali di un pipistrello. L’uomo balzò all’indietro, lasciando cadere prono il corpo e inciampando in una roccia. Si ritrovò seduto, madido di sudore, ansimante per la paura e il caldo sempre più insopportabile.
Udì in lontananza il rombo potente di una frana, il permafrost che cedeva lasciando che le pareti di roccia si sgretolassero. L’istinto di fuggire si dissolse nello stupore: la creatura si era sollevata, appoggiandosi a un braccio come un bimbo appena svegliato, stiracchiando le ali membranose. Voltò il capo verso l’alpinista ma questi, piuttosto che affrontare quello sguardo, chiuse gli occhi e attese l’onda di roccia che precipitava dalla vetta.
 
“Il serpente antico, il seduttore di tutto il mondo, fu gettato giù: fu gettato sulla terra, e con lui furono gettati anche i suoi angeli.» (Apocalisse 12,7-9)

I commenti sono chiusi.