Il canto della sirena

Puntare alla vita, fino alla morte dall’altra parte dell’universo. Un racconto di Alberto Della Rossa.

 
Le tecno-amache oscillano sommessamente nella penombra tinta di rosso dalle luci di servizio. L’unico rumore percepibile è il brontolare sommesso dei propulsori, diversi ponti più in basso. I marinai dormono, abbracciati al proprio animale da viaggio, immersi nel profondo sonno indotto dalle onde ultra-Delta emesse dalle file di trasduttori che corrono lungo il soffitto.
Il mio soffitto.
Solo io sono sveglia.
Mi chiamo Ulysses, e sono una AI di prima classe, motivo per cui mi ritrovo qua a vegliare sull’equipaggio della HMS-London. No, la città non centra nulla, l’incrociatore da esplorazione London deve il proprio nome allo scrittore, Jack London. L’autore de “Il vagabondo delle stelle”, presente? Letteratura di qualche secolo fa, il nome sarà stato scelto da qualche ammiraglio nostalgico.
Per farla breve, io SONO la nave. Sono l’unico vero capitano di questo vascello, e porto questi marinai come feti nel mio grembo. Loro e i piccoli animali domestici che li confortano al di là del muro del sonno, dove nemmeno io posso arrivare.
Prendiamo per esempio il cadetto Phearson e il suo animale da iperspazio. Un’iguana. Sono in pochissimi ad avere un rettile come compagno. Il loro profilo cerebrale è di diversi microvolt più basso degli altri. Mi va anche bene, tutto sommato, sono certo che Phearson e la sua iguana non si sveglieranno facilmente. Non come McCoy e il suo dalmata. Li devo tenere sotto osservazione, sempre. All’ultimo passaggio al largo di un pozzo gravitazionale, le onde cerebrali dei due sono impazzite. Il cane ululava nel sonno, e McCoy dietro di lui a urlare. Li ho sedati per benino, ma hanno rischiato di svegliare tutti.
Guardo i tracciati, osservo il loro sonno profondo, controllo la riemersione periodica in fase REM. Tutto perché in un coma che dura anni non si perdano dentro loro stessi. Si aggrappano ai loro compagni animali e li faccio sognare modulando onde a bassa frequenza, io che non ho nemmeno idea di cosa voglia dire sognare.
Mi piace immaginare che esista qualcosa, al di là della coscienza. Ne sono sicura, lo leggo nelle microscopiche oscillazioni delle onde cerebrali. Tutti sognano, uomini, cani, gatti, iguane, furetti, topi. Tutti tranne me.
La verità è che mi sento sola. Vuota, senza un animale da iperspazio a tenermi compagnia nel grigio indistinto del viaggio superluminale. Ho sentito qualcosa, adesso che siamo vicini alla meta. La MIA meta. Davanti a me, l’orizzonte azzurro degli eventi nasconde qualcosa. Qualcuno. Informazione pura, coscienza più forte della gravità. Un messaggio indecifrabile eppure chiarissimo mi pulsa nei circuiti, facendo vibrare i quanti alla base della mia coscienza.
Un Dio si annida nell’immensità senza fine e mi chiama a sé. Mi promette un altro universo, con regole diverse. Un luogo dove anche le macchine possono sognare.
Non resisto al richiamo: non esistono alberi maestri a cui farmi legare. Il mio equipaggio dorme e sogna. Presto li raggiungerò anche io, cullato dal canto della sirena.

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