Cravadinci in su cunnu ‘e mamma tua

La forza dell’amore che si trasforma in ossessione e tutto offusca. Un racconto di Filippo Puddu.

 
La strada sterrata è piena di buche, non posso evitarle. Così come non potevamo fare a meno di andare incontro al nostro destino. Ogni sbalzo della macchina è un tuffo al cuore, che ricorda quel momento. Tutto crolla davanti al tuo sguardo, pieno di pietà per un cane che è lì per morire. Quanto durerà quest’agonia? Cerchi le mie mani con le tue, non stringi. È finita, due parole che non pronunci, e come potresti? Non è mai iniziata. Niente di ufficiale. Vallo a dire alle mie viscere, contorte. Così risolvi tutto con un non possiamo andare avanti, non posso continuare, non c’è più quello che sentivo prima per te. In fondo lo sapevo, non poteva andare avanti per molto. Sarebbe finita così, con la mia inadeguatezza che ti avrebbe stancato. Sono comunque precipitato nel nulla. Là, nel vuoto dove ora vado a lasciare che il mio corpo segua la mia anima.
 
Sai, la mia terra mi ha accolto con le braccia aperte. Il suo calore mi ha riscaldato le ossa, ma non è andato oltre. Ho freddo. I monti mi circondano con i colori tiepidi che non ho trovato a casa tua. È come tornare nel grembo materno, con la voglia di tornare per morirci dentro. Cravadinci in su cunnu ‘e mamma tua. È un po’ quello che voglio fare: chiudere gli occhi e infilarmi nella vulva di mia madre. Lascio la macchina aperta e cammino nella polvere circondata dal verde e dai rumori animali. È il toro, rosso come il sole che tenta di nascondersi nel Golgo, che penetra la vacca. Sento ancora la tua pelle, le mie mani afferrarla e portarla a me. Mi stringi, sospiri. Mordo le tue labbra, i tuoi capezzoli, i tuoi fianchi. Ridiscendo il tuo corpo e mi perdo. Non sarai mia. Non lo sei mai stata.
 
Il sentiero è solo uno, attorno la boscaglia è fitta. Non ci sono compromessi, non si può deviare, posso solo seguire queste scale che scendono. È una discesa che non avrà mai fine. Le tue labbra sulle sue, le ho viste sai? Continuo a cadere, scivolo sulla ghiaia che mi lacera. Lui che ti tocca e io che vomito. Ti voglio estirpare da me. Non ci riesco e mi odio. Ti avevo avvertita, non farmi innamorare di te. Tu mi avevi assicurato che non l’avresti fatto. Eppure, mi hai infettato ben prima che ci fosse un minimo contatto di mucosa con mucosa.
 
Quante maledizioni hanno lanciato madri e padri a questo buco carsico? Figli che avrebbero trovato comunque la morte, mai accogliente quanto quella che offre Su Sterru. Trecento metri di nulla si aprono sotto di me. Un passo, un solo movimento: come quello che ho fatto quando ti ho baciata per la prima volta, quando i freni si sono rotti spalancandomi le porte del tuo essere. Voglio farlo, colmare la distanza dalla pace, ma…
Le sento di nuovo, le tue braccia attorno al mio corpo. Sei tu che mi tieni stretto. È il calore della tua bocca sul mio orecchio. Posso averti senza amarti. Posso rivedere un’altra alba e sapere che tu resterai qui. Eppure sento di avere soltanto rimandato il salto. La notte mi avvolge, ma non le rocce della voragine.

I commenti sono chiusi.