Domani

«Che hanno detto?»
La voce del Tagliola, roca e carica d’ansia. La faccia decorata di cicatrici voltata verso la cornice vuota della finestra priva di vetro.
«Che non c’è più niente da fare: hanno firmato! Game over, amigo!»
La voce di Tango, piena di eccitazione. Tagliola lo sente abbandonarsi sul divano logoro, il coro delle molle intona un de profundis da funerale.
«Figli di puttana», ringhia, scrutando l’orizzonte di palazzi sventrati che circonda il loro covo, «stanno uscendo dalle loro tane merdose e ballano per strada. Tango, posso sparargli?»
Tango prende una bottiglia da terra. Nella luce grigiastra sembra piena del piscio purulento di un malato. La stappa e beve avidamente.
Tagliola ha imbracciato il fucile e assunto la posizione di tiro. Tre bersagli hanno improvvisato una partita a calcetto usando una lattina vuota come palla. L’automatismo creato da tanti anni di giornate tutte uguali si impossessa del suo cervello: l’occhio nel mirino corre a fissarsi sulla gamba del fesso che sta dribblando i suoi compagni. Dilettanti del cazzo, sono pure disarmati. Il dito si sposta sul grilletto.
«Tagliola. Non fare cazzate. È finita ti ho detto.»
«Non è finito un cazzo, Tango!»
«Invece sì, i capoccioni si sono stretti la mano. Il trattato è stato firmato e l’ordine di cessate il fuoco è arrivato. Non fare cazzate. Vieni a bere e lascia perdere.»
Da qualche parte fra le macerie, una voce richiama i tre calciatori. C’è pericolo, qualcuno degli Altri potrebbe ancora far degli scherzi. Il Tagliola li guarda tornare alla realtà. I volti sorridenti mutano rapidamente nei musi guardinghi di un piccolo branco di animali impauriti, paranoici. Vulnerabili. Corrono in fretta al riparo.
I due uomini bevono, in silenzio. Spalla a spalla, su quel rudere di un divano, quasi come in una trincea.
Tango dà un buffetto al Tagliola.
«Andiamo, lo sapevi che non sarebbe durata per sempre. E, Cristo santo, perché mai dovresti desiderare che una guerra non finisca mai? Ne sei uscito vivo, sii grato di questo, brutto imbecille!» Sorride. Anche dietro al velo di sporco che lo avvolge, il sorriso di Tango è caldo e affascinante. Tagliola scorge il proprio riflesso nel vetro della bottiglia ormai vuota che stringe in pugno: un patchwork di carne, con due ombre nere sotto alle sopracciglia. Vuoto.
«Perché ti chiamano Tango?», biascica al suo commilitone.
«Perché ballo bene. E perché ci so fare con le ragazze.»
«Ecco, bravo. A me mi chiamano Tagliola perché ne ho azzoppati a decine durante ‘sti anni di merda. Era la mia tattica: un colpo alla gamba di un fesso, poi ammazzavo tutti gli altri che cercavano di aiutarlo. Se lo lasciavano lì crepava dissanguato. Non so fare altro.»
La bottiglia si infrange contro al muro. Tagliola appoggia la gola alla bocca del fucile. Lacrime cadono dalle ombre sotto alle sopracciglia.
«Ma, Tagliola, porca puttana, da domani cambierà tutto! Non lo capisci? Potrai tornare a fare quello che facevi prima, potrai riabbracciare i tuoi cari! Ci siamo ripresi il domani, Tagliola, cazzo, il fottuto domani!»
«A me il domani mi terrorizza. Non lo conosco. Non ho nessuno da abbracciare.»
«Tagliola, non fare cazzate. Posa il fucile.»
Nella luce grigiastra, Tango fissa le ombre umide del suo compagno. Paura. Nient’altro. Il Tagliola è un guscio spezzato.
Il rumore dello sparo è assordante.