Effetti collaterali

Un party dagli inattesi risvolti in questo racconto di Mario Pacchiarotti, terzo classificato nella Monterotondo Live Edition di Minuti Contati con Francesco Nucera come guest star.

 
Il funzionario era teso, impettito nel suo vestito di sartoria, agitava tra le dita una fialetta, piena di un liquido dai riflessi verdastri.
«Funzionerà?»
La donna sogghignò. «Certo che sì. E tu? Sei sicuro che sia la cosa giusta?»
«Se farà quello che hai detto avrò ottenuto il mio scopo.»
«Tu vuoi una guerra. Forse…» commentò pensierosa la donna, sembrò sul punto di aggiungere qualcosa, poi lasciò perdere. «Per il pagamento, il conto è sempre quello.»
L’uomo fece un gesto di stizza e se ne andò.
 
Il summit aveva richiesto un grosso sforzo organizzativo. Non tanto per i mille cavilli protocollari che andavano rispettati. Era la volontà di incontrarsi che mancava. Le due nazioni oscillavano da anni tra l’odio e l’indifferenza ma, per una strana e forse irripetibile combinazione di eventi, l’evento era stato pianificato.
Moon aveva temuto che venisse cancellato ancora, sarebbe stata la terza volta. Invece ora le tre delegazioni si trovavano sotto lo stesso tetto. Sospirò, le cose potevano ancora andare male. Per fortuna il primo contatto sarebbe stato informale, un party di avvio degli incontri.
Sorrise alla moglie, che ricambiò. «Stai tranquillo, andrà tutto bene.»
Moon sperò che avesse ragione.
 
Donald sprizzava soddisfazione da ogni poro. Tutto stava andando per il meglio. I nordcoreani avevano acconsentito a tutte le richieste, anche le più bizzarre, che lui aveva di volta in volta inventato per umiliarli. Erano cotti a puntino. Pronti per essere assimilati. Che smacco per la Cina.
«Il denaro compra tutto» disse, più che altro a se stesso. Melania gli si avvicinò e inserì una gardenia sulla giacca del marito. «Il bianco è il colore tradizionale del lutto qui in Korea» disse.
«Lo so, per questo la volevo bianca.»
 
Kim stava immobile, fermo come un monumento, mentre una schiera di assistenti gli girava intorno. Tutto doveva essere più che perfetto. Alla fine si ritirarono e lui si guardò allo specchio.
«Non c’è nessuno più bello di me» sussurrò. «Fate venire Min-Ki.»
L’uomo arrivò al suo cospetto pochi attimi dopo e si inchinò con reverenza.
«Sei contento Min-Ki? Facciamo la pace.»
Le palpebre dell’uomo vibrarono appena, ma nessun’altra parte del suo volto tradì la minima emozione.
«Sì, certo. Perché non dovrei. Se il mio presidente è contento.»
Kim si aprì un sorriso perverso.
«Per ora facciamo la pace. Poi… Ma ora andiamo a questo party.»
 
Le tre delegazioni fecero il loro ingresso insieme, da entrate diverse, nel grande salone dove avrebbe avuto luogo il party. Secondo un protocollo stabilito dopo mesi di defatiganti trattative, I tre capi di stato avanzarono fino al centro, seguiti dai familiari e dalle cariche più alte delle delegazioni.
Ci furono strette di mano, scambi di doni e saluti formali, secondo l’ordine stabilito.
Ci volle un po’, ma infine il party assunse un andamento più informale. I gruppi, tuttavia, mantennero la tendenza a rimanere per lo più separati. Questo fin quando non cominciarono a girare le bottiglie di champagne.
 
Min-Ki se ne stava per conto suo, nervoso all’interno, quanto cordiale all’esterno. Attendeva impaziente di vedere gli effetti della pozione sui convitati. Un dubbio lo rose a lungo, poi vide che stava iniziando, proprio in quel momento. Sorrise soddisfatto, le cose avrebbero fatto il loro corso, dopo quella sera una guerra sarebbe stata inevitabile, se non altro per lavare la vergogna, per dare agli altri la colpa.
A lui non rimaneva che svignarsela. Senza farsi notare sparì dietro un tendaggio.
 
I primi a baciarsi furono il delegato al commercio sudcoreano e la nipote minore di Kim. Si erano subito trovati simpatici, ma al secondo bicchiere era scoppiato l’amore, una passione irrefrenabile. Non furono notati da molti, la maggior parte degli invitati era troppo occupata, persa negli occhi di questo o di quella, ognuno secondo la propria ispirazione. Dal corteggiamento ai baci, da questi al sesso, il passo fu breve. Ma non bastava. Non appena soddisfatte le proprie voglie immediate, le coppie cominciarono a guardarsi intorno e si fusero con altre coppie, in amplessi sempre più complessi e soddisfacenti. In gruppi sempre più numerosi. Le cose andarono avanti così per parecchio, finché l’enorme orgia non si concluse con un sonno collettivo e ristoratore.
 
Min-Ki attendeva notizie nella sua villa di campagna, dove si era opportunamente ritirato. Era impaziente e sorpreso. A quell’ora lo scandalo sarebbe dovuto già scoppiare. Invece niente. Si bloccò. Iniziava il notiziario del mattino. Lo speaker annunciò un messaggio alla nazione direttamente dalla voce del Presindente Kim. Sorrise. Arrivava la tempesta.
 
«È con gioia e immenso piacere che ho l’onore di annunciare, in accordo con il presidente Moon e con il pieno supporto del presidente Trump, l’imminente riunificazione della Corea. Donald ha garantito inoltre aiuti illimitati per facilitare l’opera di risanamento del paese.» Si sentirono delle risate allegre, un chiacchiericcio. «Cos’altro? Ah sì, io sposero sua figlia…»