Fine del sogno

«Vogliamo tutto e lo vogliamo ora! Vogliamo tutto e lo vogliamo ora!»
Sergio fissava Maria, lì accanto nel corteo.
L’aveva conosciuta in fabbrica e, grazie a lei, aveva iniziato a frequentare i gruppi marxisti-leninisti.
A dire il vero ne masticava poco di politica: suo papà era sempre stato comunista e l’aveva cresciuto con l’idea che gli uomini fossero tutti uguali. Ma quello era il massimo a cui arrivava. Prima di iniziare ad andare alle riunioni con quei tizi dalla barba incolta e il giornale perennemente arrotolato sotto il braccio sapeva a malapena chi fosse Marx.
Chissà se almeno per leggerlo se lo tiravano via dall’ascella.
«Fascisti, borghesi, ancora pochi mesi! Fascisti, borghesi, ancora pochi mesi!»
Maria, però, era proprio bella! Anche il coro più minaccioso diventava miele quando usciva dalle sue labbra.
«Che mi guardi?»
Che figura!
Si era accorta che Sergio la fissava. «Nulla! Pensavo che magari stasera possiamo cenare assieme!»
Lei sorrise e ammiccò alle sue spalle: «Se ci arriviamo a stasera. Hai visto?»
Sergio si voltò e si accorse solo in quel momento che c’era una fila di gipponi della Celere a tallonare il corteo. Deglutì, sentendo le ginocchia che iniziavano a tremare.
Maria, sembrava invece del tutto suo agio: «Cerchiamo di mantenere la calma, che qui finisce come ad Avola!».
L’aveva sentito raccontare da suo padre: la polizia aveva sparato sulla folla e c’era scappato il morto. Due morti a esser pignoli e tantissimi feriti.
Una roba del genere a Milano non potrebbe mai succedere!
D’improvviso, la testa del corteo si voltò verso le auto della polizia: «Con il sangue delle camicie nere, faremo più rosse le nostre bandiere!»
La folla si dirigeva proprio verso gli sbirri. I tamburi battevano più veloci e così le mani dei manifestanti: «Urge sangue fascista! Urge sangue fascista!»
Maria lo tirò per una mano «Via, vieni via! Qui finisce male!»
Sentì la gente che gli sbatteva addosso, mezzo accecato dalla folla che gli si spostava davanti, a intervalli, come onde di un mare in tempesta.
La ragazza, molto più minuta di lui, gli era rimasta alle spalle, forse bloccata da un ammasso di gente impenetrabile. La tirò forte, ma le loro mani si lasciarono.
Si girò per cercarla, invano. Poi udì la frenata e vide la folla aprirsi di corsa.
Una delle macchine aveva investito i manifestanti, lasciandone due a terra. Una era Maria.
La jeep indietreggiava, mentre la gente sbigottita prestava i primi soccorsi ai due feriti. Sergio corse da lei. Con tutta la forza che aveva riuscì a trascinarla sul marciapiede.
«Scappa…» fu tutto quello che gli disse, prima di perdere i sensi.
Sergio si alzò in piedi, la rabbia gli aveva fatto venire le lacrime agli occhi.
Alcuni compagni del movimento stavano smontando dei tubi innocenti da una impalcatura.
Si chinò, ne raccolse uno e corse verso la macchina assassina.
Il resto avvenne come al rallentatore, in un silenzio irreale: il tubo partì come una lancia, attraversò il parabrezza e si infilò nel cranio dell’agente alla guida.
Il mezzo, senza più controllo, andò a urtare contro un altro, incendiandosi.
 
Era il 19.11.1969 e, assieme a un poliziotto appena ventiduenne, moriva un’era di sogni ne iniziava una di sangue.