Fregata!

Atmosfere piratesche e onde anomale… Finalista nella Quarta Edizione della Quinta Era con Gianluca Morozzi nelle vesti di guest star, un racconto di Manuel Piredda.

 
Il cielo fosco mandava lampi come se qualcuno si fosse appena scopato la moglie di Zeus e lui l’avesse beccato con le brache calate.
Il povero bastardo di vedetta sulla coffa aveva lanciato giù il cinturone e la sciabola e adesso – ripiegato su sé stesso – piagnucolava una litania nella speranza che una divinità qualsiasi lo proteggesse dalla furia degli elementi. Era la terza vedetta a salire nel gabbiotto d’osservazione dallo scatenarsi della tempesta, difficilmente sarebbe stata l’ultima.
Venti metri sotto lui, cani di mare e tagliagole correvano sul ponte armati di secchi e scope per gettare più acqua possibile fuori bordo, ognuno di quegli uomini aveva visto scontri a fuoco e portava sul corpo i segni delle sciabole nemiche, dei bastardi senza pietà che ora sussultavano a ogni tuono.
L’oceano si erse in un muro di spuma e acqua e si abbatté sulla prua come il pugno di Poseidone, due membri della ciurma furono spazzati via dal ponte, le assi della carena spezzate dalla furia dell’acqua.
Non passarono che pochi istanti prima che la porta del castello di poppa si aprisse con uno schianto, un rumore che la ciurma aveva imparato a temere più di qualsiasi cannonata: la donna aveva abbandonato gli alloggi.
La donna, unico nome con cui era noto il capitano di quella nave, era una giovane minuta, dai lunghi capelli neri mossi quanto l’oceano in tempesta, spesse sopracciglia nere e un carattere che avrebbe fatto schifo al più rissoso dei marinai ubriachi; emise un urlo che sovrastò lo sciabordio della pioggia, il rombo del tuono e gli schiaffi del legno che sbatteva sull’acqua.
«Cosa cazzo sta facendo la vedetta, maledetti figli di puttana?» Guardò in alto sull’albero di trinchetto, lo sguardo le si fece ancora più rabbioso, come se avesse potuto vedere il poveraccio in lacrime accucciato nel gabbiotto, puntò l’archibugio verso la coffa in attesa di una risposta.
La nenia che proveniva dall’albero maestro s’interruppe, la vedetta gettò un grido da far gelare le ossa. «Ne sta arrivando un’altra, da est, onda anomala! Andate sottocoperta!»
Afferrò un paio di energumeni per la collottola e li spinse verso la botola di coperta.
«Chiudete quella falla, cani rognosi!» gridò prima di fissare la direzione indicata dalla vedetta.
L’orizzonte saliva con impeto sempre maggiore, la massa nera era ormai diventata una parete verticale che sovrastava l’intera fregata, ventimila chilogrammi di legname sembravano un giocattolo in balia di un bambino capriccioso.
Un fulmine dietro l’onda la fece risplendere come uno sbuffo di smeraldo, al capitano scappò un sorriso d’apprezzamento per il bello spettacolo che la natura aveva deciso di offrirle prima di mandarla ad annusare i fondali; poi giunse l’impatto.
Ci volle solo un istante prima che la chiglia fosse rivolta verso l’alto e l’albero maestro puntasse verso la profondità degli abissi, l’ultima cosa che il capitano osservò con i suoi occhi furono i caratteri in bronzo sulla fiancata della nave, la Fortune era ormai rovesciata.