Fughe e comandamenti

Puntare al futuro, ovunque esso sia. E farlo stando insieme, chiunque sia il nostro compagno. Terzo classificato nella CENTODUESIMA Edizione di Minuti Contati con Franco Brambilla come guest star, un racconto di Andrea Partiti.

 
«Don Oreste è dietro la curva.»
«Adesso?»
«Via, via, via!» urlarono tre voci sovrapposte, facendo gracchiare i piccoli altoparlanti negli elmetti, mentre i ragazzi sterzavano bruscamente lasciando che la gravità marziana li lanciasse giù per il pendio, staccandosi dalla fila di biciclette.
Se erano sfortunati Don Oreste se ne sarebbe accorto in un paio di minuti, se erano fortunati sarebbe tornato fino alla colonia estiva prima di notare il silenzio sospetto dei tre allievi anziani del gruppo. Di certo i ragazzi più giovani, fino a sedici anni, non li avrebbero traditi prima del tempo.
Il trio arrivò al fondo del canale, dove si fermò sollevando una nuvola di polvere rossa e appiccicosa. Smontarono dalle biciclette e le nascosero dietro a un grosso masso spezzato, poi si acquattarono per accertarsi di essere soli.
Tesero le orecchie. Comunicavano via radio ma la rada atmosfera marziana, dovuta alla terraformazione in corso, trasmetteva già i suoni a sufficienza da sentire dei passi in avvicinamento, anche se non abbastanza da rendere intellegibili parole e suoni articolati.
«Silenzio,» fece Pim, mostrando il palmo delle mani. Tutti obbedirono. Nessuna bicicletta, niente passi, niente urla di rimprovero.
«Ok, via libera!» Pim sollevò il pollice ammiccando.
«Andiamo alla base?» propose Eric con tono eccitato. «Ho letto sui bollettini che oggi lanciano dei razzi climatici.»
«Don Oreste dice che sono stupidi a insistere, che ci vorrà troppo tempo e dovrebbero usare i soldi per migliorare le infrastrutture di Marte, anziché migliorare l’atmosfera,» commentò Alex.
«Però sarebbe bello, girare all’aperto senza casco. Chissà che odore ha Marte,» disse Eric.
«Che odore vuoi che abbia?» lo interruppe Pim. «C’è sabbia ovunque: avrà odore di sabbia. Mio cugino che è stato sulla terra dice che lì hanno la sabbia ma anche il mare insieme.»
«Ci sono le foto, sui libri, ma per me sono una balla di propaganda,» fece Eric.
«Perché?» chiesero gli altri due.
«Se avessero davvero tutta quell’acqua, perché farne arrivare altra dagli asteroidi? Mio padre vende acqua alla Terra, vuol dire che non ne hanno così tanta.»
«Idiota, c’è il sale nel mare, non si beve. Non sai proprio nulla della Terra?»
«Idiota tu,» Eric incrociò le braccia sul petto, «Se pensi che portare il ghiaccio dagli asteroidi sia più comodo che levare il sale dall’acqua che hanno già.»
«Ormai non torna più,» Alex si era allontanato e guardava verso il sentiero in alto. «Possiamo andare!»
Recuperate le bici, le portarono a spalle risalendo il versante opposto del canale, poi lo seguirono verso sud. Avevano ancora diverse ore prima che scendesse la notte. Amavano l’avventura, ma non erano così avventati da farsi sorprendere all’aperto dal freddo marziano.
La base di terraformazione non era lontana, ma non avevano mai avuto il permesso di avvicinarsi. “Troppo pericoloso,” si limitava a rispondere Don Oreste.
La trovarono al di là di un’alta duna. Era ben più vasta di quanto si aspettassero e per un attimo restarono a bocca aperta a osservare l’enorme bolla bianca e l’attività che la circondava.
Sapevano che era parte di una serie di basi analoghe per creare una magnetosfera artificiale attorno a Marte, per proteggere l’atmosfera in formazione dai venti solari. La cupola bianca non era che la gigantesca capocchia di uno spillo magnetico conficcato nel suolo fino al nucleo ferroso del pianeta, il cuore del meccanismo.
«Wow,» esclamò Pim.
«Chissà com’è, vivere in una cupola così grande?» si domandò Alex.
«Non ci vivono mica, ci lavorano,» lo corresse Eric.
«Che importa, deve essere strano lo stesso, tutto quello spazio senza una tuta addosso.»
«Guardate, un razzo!» Pim indicò un hangar circolare ai confini della struttura che si apriva liberando un missile già in velocità.
Lo osservarono salire, poi curvare lentamente verso est iniziando a rilasciare le caratteristiche scie chimiche dei razzi climatici. I venti avrebbero depositato le sostanze vaporizzate, queste avrebbero reagito con i silicati nelle rocce liberando anidride carbonica. Un giorno Marte sarebbe stato un piacevole pianeta dal clima moderato, dicevano gli scienziati, in impaziente attesa che l’effetto serra iniziasse ad autoalimentarsi.
«Un giorno vorrei vivere su Marte,» sospirò Pim, dopo un lungo tempo passato ad ammirare la serie di lanci.
Eric e Alex annuirono, concordi.
«Perché Don Oreste non ci voleva far vedere la base di terraformazione?» domandò Pim.
«Per non farci sentire minuscoli e minacciati, una volta tornati sugli asteroidi?» propose Eric.
«Secondo me invece,» fece Alex, «è per non farci vedere cosa possono fare le persone che lavorano insieme. Da noi si litiga su ogni sasso, non riuscirebbero mai a costruire qualcosa di così grande.»
«Lo fanno per vivere,» disse Pim sollevando le spalle.
«No, vivono già bene nelle cupole, come noi,» lo contraddisse Alex. «Lo fanno per vivere meglio.»
«Lavorare insieme per vivere meglio…» ripeté Eric.
«Non è un cattivo comandamento,» ammise Pim.