Gli ultimi saranno i primi

«Trovato niente?»
Michele sobbalzò. Il bisbiglio gli era giunto alle spalle, inaspettato.
Girò su se stesso e puntò la torcia in direzione dell’uscita del magazzino. Sulla soglia c’era Lorena, la divisa militare macchiata d’olio.
La donna si portò una mano agli occhi per proteggersi dalla luce. «Punta quell’affare da un altra parte.»
Michele illuminò il pavimento, l’oscurità avvolse la parte superiore dell’ambiente.
Il volto tirato di Lorena assunse un alone spettrale. «Allora?»
«Uno solo.»
«Mi stai prendendo per il culo?»
«Sono serissimo.» Michele tirò fuori dallo scatolone il lungo neon bianco. «È l’unico funzionante.»
«Ma è stato un sabotaggio o…»
«No, non credo.» Michele scosse la testa, sconsolato, poi ricordò che Lorena non poteva vederlo. «I box erano sigillati. Credo che chi ha rifornito il magazzino anni fa abbia acquistato una partita difettosa. Magari per risparmiare.»
Lorena bestemmiò a denti stretti. «Io esco fuori. Trovo dei neon funzionanti, delle cazzo di lampadine, non importa. Non possiamo stare al buio.»
«Il portellone di sicurezza è collegato direttamente al contatore geiger, è impossibile aprirlo. E anche se ci riuscissi, là fuori ci sono radiazioni sufficienti a ucciderti nel giro di un’ora.»
«Cristo. A torce elettriche come siamo messi?»
«Questa che ho in mano è l’unica. In compenso abbiamo un sacco di batterie. Chi ha rifornito questo posto era un vero demente.»
«Questo l’ho capito.» Lorena sbuffò. «Comincia a collegare quel neon, allora. Poi vediamo che fare.»
Michele prese il neon e si diresse fuori dal magazzino facendo luce con la torcia. Lorena lo seguiva a poca distanza. La sequela di lampade appese al soffitto erano per la maggior parte morte. Qualcuna dava ancora qualche segno di vita sfarfallando, con intervalli che diventavano un po’ più lunghi a ogni minuto.
«Hai idee alternative?» chiese Lorena.
«I monitor dei computer possono darci un po’ di luce, ma sarà comunque un delirio. Sai quanto tempo dovremo passare qui sotto prima che fuori diventi di nuovo vivibile?»
«No. E giuro che se me lo dici ti prendo a calci in culo.»
Raggiunsero la mensa, dove una mezza dozzina di soldati stava tenendo d’occhio un gruppo più numeroso di civili ancora sconvolti. La bomba era esplosa da meno di ventiquattr’ore. L’unico neon sfarfallante rendeva il centro del bunker simile a una discoteca silenziosa.
Michele prese la scala e la posizionò sotto il neon. Si arrampicò e lo sostituì. Una luce fredda ma stabile illuminò l’ambiente per intero.
«Quanto durerà?» chiese Lorena.
«Facendo l’ipotesi che non sia difettoso come gli altri… un anno. Forse di più se saremo fortunati.»
«Tra un anno potremo uscire di qui?»
Michele non rispose. Distolse lo sguardo, dirigendolo verso il gruppo di civili. Un paio di questi avevano il volto ustionato, gli occhi simili a piccoli sassi sbiancati. Avevano guardato direttamente l’esplosione.
«Credo che tra un anno sarà necessario farci insegnare molte cose da loro.»
Lorena singhiozzò.