Il campanello

Non suonate quel campanello… Direttamente dal Laboratorio, un racconto di Alexandra Fischer.

 
«No!» Gridai al mio amico Enzo, «togli subito la mano da quel campanello.»
Lui non la ritrasse.
«È solo un’anticaglia di ottone. Cosa vuoi che succeda, se lo premo? Che ne esca un tentacolo e mi strozzi?»
Lo afferrai per la camicia, benedicendo la sua mania di portarla fuori dai jeans.
«Di peggio.»
«Ma che ti sei fumata, Ulrica? Non crederai davvero ai mostri?»
«Dammi retta e non ci provare.»
«Non farmi la morale. Ieri sera siamo passati di qui e ti era venuta l’idea di pigiarlo.»
Sbuffai.
«D’accordo, ma la mia era una battuta alcolica. Eh, sì, ammetto di essermi lasciata trasportare dai sogni a occhi aperti. Ora non lo farei mai. Neppure in pieno giorno.»
Enzo ridacchiò.
Il campanello si intonava bene alla porta di legno marrone scrostato dall’umidità e ai muri color burro del palazzo, scoloriti dalle intemperie.
«Subito dopo essere stata qui, a casa l’ho sognato» dissi a Enzo, «e farlo mi ha cambiato la vita. Credo esistano delle realtà che è meglio lasciare stare.»
«Allora non ti vedrò più gironzolare in posti come questo?»
«Sì. Basta. Io ero qui davanti, stanotte.»
«Sognavi» mi disse lui con tono serio, rimanendo tuttavia nei pressi del campanello.
«No» ribadii, «lo credevo anch’io quando mi sono coricata stanotte. Ho chiuso gli occhi per ritrovarmi di nuovo qui davanti e ho premuto il campanello.»
«Suono armonioso o gracchiante?» mi chiese lui, tornato a essere dispettoso come al suo solito.
«Ho perso l’udito. E la porta si è sbriciolata. Ho visto la gradinata d’ingresso della casa e vi era posata una creatura blu dall’aspetto di libellula ed era grande quanto te.»
Enzo fischiò ammirato.
«E sei rimasta lì a guardarla?»
«Figurati. Sono entrata, perché mi sentivo invulnerabile, così come succede nei sogni. E la libellula è indietreggiata al mio passaggio proprio come se avesse avuto paura di me. Invece, dalle scale è sceso un uomo, calvo e occhialuto, con tanto di favoriti. Era molto in collera e mi ha domandato cosa ci facessi lì. Visto che non rispondevo, mi ha afferrata per il polso e mi ha spinta di nuovo fuori. La pelle mi è bruciata all’istante, ma è stata la sua mano a terrorizzarmi: era ricoperta di scaglie nere e aveva cinque ventose al posto delle dita.»
Il mio amico tolse le mani dal campanello e si mise a tremare.
«Hai appena fatto il ritratto del proprietario di questa casa, il conte che visse da recluso con il telescopio e la radio. Dicevano tutti che era matto a voler cercare gli alieni.»
Feci un gesto di diniego con il capo.
«Li ha trovati, visto cos’è diventato. Odia lo scherzo del campanello. Basta soltanto che ci sia uno davanti a casa sua a pensarlo.»
Enzo tornò a essere il solito, per proteggersi.
«Scommetto che stamattina ti sei svegliata con il polso bello sano, eh?» sogghignò.
Mi tirai su la manica e disfeci la fasciatura.
«Ehi, avevi ragione, sembra quasi un marchio. Vuoi dire che… anch’io…»
«Non lo so. Io, al tuo posto, non suonerei» gli dissi, indicando la porta.
«Tanto la casa è disabitata» azzardò lui.
Io guardai attraverso lo spioncino e vidi il conte circondato da creature bipedi dagli arti terminanti in ventose e libellule identiche a quella del mio sogno.
 
Gridai e corsi via.
Avevo visto il conte e le sue creature da incubo, prima dal vivo, nel riquadro della porta, e poi in una fotografia appesa al muro dell’ingresso.
I miei nervi erano troppo provati quando la figura alata in grembiule con in mano detergente e strofinaccio staccò la fotografia dal muro con due mani umane e si mise a pulirla con le due zampe a ventosa che le spuntavano dalle ascelle.
Mi dava la schiena, ma bastò un movimento del mio piede per farla voltare lentamente.
Non ci tenevo per niente a rivedere di nuovo quel volto umano dagli occhi disuguali: uno da essere umano e l’altro, a globo, rivestito di cellette come quello delle mosche.
Pulisse pure la fotografia nella quale appariva insieme ai suoi simili.
Enzo era rimasto lì.
 
Conoscendo la sua curiosità, posso immaginarlo mentre sbircia attraverso lo spioncino, per poi scappare via, ancora più in fretta di me. Non si terrà per sé quello che ha visto.
Confiderà a chiunque gli capiterà a tiro che certi incubi possono essere premonitori.
Perlomeno al conte verrà risparmiata la seccatura delle scampanellate notturne.