Il cuore della foresta

Oscar Cooper si stampò una manata sul collo, troppo lento per impensierire la zanzara che lo aveva punto. La mano scivolò sulla pelle sudata.
«Forza, professore. Non manca molto.» Donovan si voltò verso di lui. Lo scrutò per un istante, gli occhi neri poco più che due fessure sul viso nodoso.
Il Professor Cooper provò ad allungare il passo per recuperare qualche metro sulla sua guida. Un’altra zanzara, grossa come un proiettile gli passò ronzando all’altezza degli occhi. Smanaccò per allontanarla e perse l’equilibrio. Lo scarpone atterrò sulla terra flaccida, la gamba affondò fino al ginocchio.
«Si aggrappi a me.» Donovan gli porse un braccio.
Oscar Cooper si aggrappò al suo salvatore, la mano callosa lo tirò su senza sforzo.
«Sono queste maledette zanzare. Non mi danno tregua.» Provò a spolverarsi i pantaloni all’altezza del ginocchio. Pessima idea, riuscì soltanto a impiastricciarsi la mano di fango.
«Non può certo biasimarle. In questa zona della foresta gli animali sono sempre più rari. Un grosso mammifero come lei è un piatto succulento per gli insetti.»
Era vero, da almeno un paio d’ore non avevano incontrato tracce di animali. Anche i versi degli uccelli erano scomparsi da un bel po’.
«Non vivono animali nel profondo della foresta?»
Donovan lo fissò per qualche secondo, come si fissa un bambino che ha appena detto un’idiozia. «Il cuore della foresta è il regno delle piante, professore. Piante così straordinarie da non sembrare vere.»
«Mi pare assurdo. Un ecosistema –»
«Metta da parte tutte le sue belle nozioni. Non hanno importanza qui.»
«Ma non ha senso.»
«Nulla più lo ha in questo angolo di mondo. Il seme ha cambiato le carte in tavola. Chi non è riuscito a evolversi, è stato costretto a estinguersi.»
«Il seme? Cielo, Donovan, la smetta con queste superstizioni da selvaggio. Si trattava di un frammento di meteorite e non –»
Donovan si voltò, ignorando le sue parole, e riprese a inerpicarsi sulla salita. «Mi ha chiesto lei di separarci dal resto della spedizione, professore. Ne è ancora convinto?»
«Sì, certo.» Il professore si passò la lingua sulle labbra. Quale che fossero i segreti di quella giungla umida, voleva essere il primo a metterci le mani sopra.
«Allora chiuda la bocca e mi segua.»
Oscar Cooper rimase per un attimo senza parole. Donovan si stava chinando per passare sotto un’enorme liana.
«Certo, eccomi.» Si affrettò a seguirlo. «Signor Donovan!»
«Professore?»
«Ma perché le zanzare pungono solo me?»
La guida accennò un sorriso. Il primo da quando si erano messi in marcia. «Probabilmente lei ha il sangue più dolce.» Si voltò e riprese a camminare.
 
*
 
«Non è possibile.» Oscar Cooper si chinò a osservare un altro fiore. I petali, grossi più della sua mano, brillavano come i riflessi di uno zaffiro. All’inizio aveva pensato di cogliere almeno un esemplare di ogni pianta sconosciuta in cui si era imbattuto, ma erano davvero troppe. Gli sarebbero servite diverse giornate per catalogarle tutte. «Donovan, ma questo è il paradiso della botanica. Come ha scoperto questo posto?»
«Non ha ancora visto niente.» L’uomo era in cima a un dosso. Gli sorrise di nuovo, sembrava davvero a suo agio in quel groviglio di assurde piante. «Si avvicini, voglio mostrarle una cosa.»
Il professore lo raggiunse con passi cauti, cercando di non calpestare nessuno di quei fiori. Difficile, visto che erano ovunque.
«Che cosa c’è?»
«Guardi là sotto. Eccolo.»
Oscar Cooper si affacciò al di là della collinetta. «È… è quello?» Era stupendo. Brillava e pulsava di luce e di vita.
«Sì. Il cuore della foresta.»
«È… bell..shim… » Gli mancava il fiato dallo stupore. O forse era per via di quel profumo, così intenso e piacevole.
«Lo è.» Donovan lo abbracciò da dietro, con dolcezza. Braccia forti come rami, profumo di corteccia e polline. «Ha molta fame, professore. Ma non ci sono più animali nel folto del bosco. Bisogna spingersi sempre più in là per trovarne, e usare l’esca giusta. Chi non si evolve si estingue, mi capisce?»
Sì, lo capiva. Non riusciva più a parlare ma poteva annuire. Radici gli avvinghiavano le caviglie, liane e foglie si insinuavano nella bocca, nelle narici e nelle orecchie.
E quel profumo. Un’ultima esalazione gli percosse i sensi mentre si abbandonava all’estasi di quel pasto.