Il grande inquisitore

La forza dell’ottusità al servizio del controllo sociale. Finalista nella CENTESIMA Edizione di Minuti Contati, un racconto di Giuseppe De Micheli.

 
Fra Gerolamo annodò con molta cura le corregge del gatto a nove code fissando un uncino di ferro a ogni nodo. Intanto pensava a quanto il male avesse permeato il mondo e quanta penitenza sarebbe stata necessaria per debellarlo. Tre uncini per ogni coda, in totale ventisette uncini: il tre, la sintesi perfetta, elevata alla terza potenza. Rabbrividì pensando alle pene che avrebbe subito il suppliziato e sorrise al pensiero che ogni fitta di dolore gli avrebbe rimesso un peccato. Una sola frustata avrebbe inferto nove staffilate e ventisette arpionate alle carni del penitente. Calcolò quante sferzate sarebbero state necessarie per superare il demonio: venticinque frustate avrebbero inferto seicentosettantacinque uncinate, nove in più del numero di Satana, il seicentosessantasei. Nove, il numero triplamente perfetto.
Poi si preparò: si denudò e s’inginocchiò dinanzi al Crocefisso. S’inebriò nel contemplare le sette piaghe del Signore e anelò di patire la stessa sofferenza. La sua mano tremava quando impugnò il gatto a nove code, ma s’immobilizzò in una saldissima presa appena invocò: «Dio, dammi la forza».
La prima sferzata non fu particolarmente dolorosa, non è facile colpire con forza la propria stessa schiena, ma gli uncini si conficcarono nella carne e la strapparono quando la sferza fu ritratta. Il dolore era sufficientemente intenso, il suo peccato sarebbe stato senz’altro rimesso al venticinquesimo colpo. Arrivato al settimo, dovette fare una sosta. «Mio Dio» pregò «la carne è così debole che non riesco ad andare avanti?» Ed ebbe la visione dell’inquisita, nuda, appesa alla corda per le braccia dietro la schiena. Si agitava scompostamente, urlava e chiedeva pietà. «Sono quindi come lei, la peccatrice eretica, strega, debole di fronte al dolore?» Si frustò furiosamente per altre dieci volte, urlando come la suppliziata, ma la visione di quel corpo rotondo e morbido, di quei seni danzanti e… Lo straccio che le avevano messo all’inguine per nasconderne le intimità era scivolato giù e ora il suo sesso era completamente esposto.
Fra Gerolamo ne ricordava bene tutti i particolari, il pelo folto che lo nascondeva ancora, poi l’apparizione improvvisa, in mezzo a quella selva nera, del rosa delle labbra a seguito di uno scomposto allargamento delle gambe. S’inflisse furiosamente le ultime otto frustate piangendo e chiedendo pietà al Signore per l’ultimo, orrendo peccato commesso: una polluzione spontanea al vedere le rotondità dei glutei.
Con un urlo si inflisse con tutta la forza possibile il venticinquesimo colpo e si accorse, con orrore, di avere avuto, anche adesso, erezione e polluzione.
«Sono il Male, non avrò redenzione». Continuò a flagellarsi, fino alla fine.