Il meglio di me

“Il respiratore continua la sua litania di beep regolari scandendo i secondi, sempre più lontani l’uno dall’altro…”
Giona mi guarda con aria perplessa.
Torna a guardare il foglio e poi solleva di nuovo lo sguardo su di me.
«Babbo, va bene il rispetto per i genitori, ma che palle».
Mi alzo di scatto, con la voglia di prenderlo a schiaffi ma mi fermo prima di cedere di nuovo e sfogare le mie giornate con lui.
«Mi vuoi di nuovo attaccare al muro, babbo? Lo vedi che non ti fa bene scrivere quella roba?».
Mi siedo e mi verso un po’ di vino, magari riesco a calmarmi.
«Speravo riuscissi ad apprezzare quel che faccio per mandare avanti tutto quanto e invece sempre critiche te, eh?».
Giona alza gli occhi e sbuffa. L’espressione è quella di suo nonno e la cosa mi fa ancora più incazzare. Non è colpa sua se gli somiglia, ma quando guarda il soffitto come faceva lui, un po’ sulle palle mi sta.
«Io apprezzo quel che scrivi, babbo. Ho solo detto che non mi sembra il caso di continuare a tirarsi mattonate sulle palle con questa roba». Guarda verso la camera di Vieri e si lascia andare al sospiro che è diventato il marchio di fabbrica di questa famiglia da un po’ di tempo. «Abbiamo già lui a ricordarci quanto merdosa sia la vita. Devi per forza trapanarci i testicoli con vecchi che muoiono, bambini malati e pompieri sospesi nel vuoto?».
Un colpo di tosse di Vieri mi impedisce di rispondere come vorrei.
«Babbo, puoi venire per favore?». La sua voce è debole.
Vuoto il bicchiere e mi rivolgo a Giona, cercando di essere più stronzo che posso.
«Devo andare a cambiarlo. Tocca a me, no?».
Mi alzo senza staccare gli occhi dai suoi e mi avvicino. Il vino fa già effetto.
«Cerca di goderti le ultime settimane di tuo fratello, invece di lagnarti». Mi avvicino ancora di più. «Non saranno i romanzi di Follett, ma quello che scrivo ti permette di andare all’università e di farti gli aperitivi la sera mentre io cerco di rendere gli ultimi istanti della sua vita più dignitosi possibile».
«Devo sentirmi in colpa perché sono sano, ok. Ma il mio era solo un tentativo di aiutarti, babbo. Prova a far ridere. Hai talento e puoi usarlo anche per le cose belle. Ci bastano quelle vere di brutte».
Una stretta allo stomaco e una vampata di calore. Sento il bisogno di abbracciarlo adesso, ma non ci riesco.
«Dai, vai da lui. Continuiamo dopo».
Il corridoio è buio e la luce che arriva in fondo, dalla stanza di Vieri, è proprio quella che vorrei vedere.
Sono stanco. Dovrei uscire, ridere, scrivere stronzate ed essere leggero. Ma non ho voglia di ridere da un bel po’. Non c’è risata che voglia uscire, almeno non adesso.
«Babbo, tutto bene?».
«Ma certo bambino mio, solo tuo fratello che rompe il cazzo».
Una risata seguita da una serie di colpi di tosse piena di catarri mi fa pentire di averlo fatto ridere.
«Vedi babbo? Ha ragione lui. Dovresti far ridere. Ne sei capace. Magari evita di farlo con i malati terminali». Ride di nuovo e stavolta resta quasi senza fiato.
Gli prendo la mano e la stringo, finché la crisi non passa.
«Allora ci hai sentiti».
«Certo che sì, non sono sordo». Mi sorride ancora. «Babbo, non andrà sempre male. Magari qualcosa di buono si sta avvicinando». Alza una spalla e fa una smorfia. «Lo ha detto pure quella fava di Don Leandro, oggi».
Mi siedo sulla sedia accanto al letto.
«È stato qui oggi?».
«Certo, puntuale come la morte. Mi ha detto che Dio non mi ha ingannato e che morire a vent’anni può sembrare una fregatura ma che per me, aspetta, come ha detto?». Tossisce di nuovo e prende fiato. «Ah ecco. Ha detto che il meglio sta per arrivare, cristianamente parlando».
Non credo alle mie orecchie.
«Davvero? E tu?».
«Io niente babbo, l’ho mandato in culo».
Non riesco a trattenermi e rido di gusto. Gli occhi di Vieri si illuminano.
«È bello vederti ridere babbo. Dovresti farlo più spesso. Se lo fai tutti i giorni mi fai morire felice. E me lo merito, direi».
Una lacrima mi solca il viso. Forse per me il meglio è già arrivato, ed è davanti a me.
«Mi dispiace essere stato un peso negli ultimi anni, babbo».
Mi alzo e mi inginocchio davanti a lui. Lo accarezzo sul viso e gli prendo di nuovo la mano.
«Tu sei stato la mia salvezza. Il tuo sorriso mi ha salvato, lo sai?».
«Be’, in realtà mi giravano parecchio i coglioni ma avevi già il fratello musone e ho dovuto compensare».
La sua risata e il suo sguardo mi coccolano ancora più dell’effetto del vino.
«Vai da lui babbo. Non perdere tempo. Mi cambierai dopo».
Mi alzo senza sapere cosa rispondere. Ma so cosa devo fare.
Trovo Giona ancora in cucina, gli occhi rossi e il viso pieno di lacrime.
«Se smetto di scrivere di pompieri e vecchi morenti, mi darai una mano con tuo fratello?».
Sorride e si avvicina a me.
«Se lo fai davvero divento la crocerossina che tutti vorrebbero».
Ci troviamo abbracciati e per un attimo trovo un amore che finora era come congelato.
«Cercherò di darti quello che ti ho tolto, Giona. Il meglio di me. Promesso».
Restiamo così, mentre dalla stanza di Vieri si sente tossire e ridere.