IO

Il 20 luglio è una giornata di merda.
Il 19 trascorre tranquillo.
Il 21, di solito, non è un granché però, in un modo o nell’altro, passa.
È il 20 il problema.
Vivo in modo ordinario 364 giorni l’anno poi, il 20 luglio, divento pazzo.
Da 14 anni.
Per il resto quasi non mi accorgo del trascorrere del tempo. In fondo le mie giornate sono tutte uguali.
Scendo di casa, faccio colazione al bar, le chiacchiere sul tempo col barista e poi al lavoro.
La sera, poi, una birra al pub prima di rientrare a casa, qualcosa che sposto dal frigo al microonde e da lì nel mio stomaco. Un’ora di tv e a letto.
Anche il 20 luglio inizia normale. Nemmeno so che è il 20 luglio finché non succede.
 
Per esempio qualche anno fa ero al bar che leggevo le ultime sul calciomercato quando vedo sul bancone un rotolo di scotch da pacchi. Non so che cosa ci stesse facendo il barista. Un oggetto idiota quel rotolo, eppure non riesco a non fissarlo. Lo prendo, ci infilo dentro la mano destra, come fosse un bracciale. Ora, un rotolo marrone è veramente ridicolo come bracciale eppure io lo indosso e lo tiro su oltre il gomito Non lo so nemmeno io il perché. Poi comincio a piangere. Sento una disperazione profonda. È come se quel bracciale mi stritolasse il braccio, poi lo stomaco e infine la testa. Lo sento circuirmi le tempie e stringersi sempre di più. Esco in strada, cado, sento il mio teschio esplodere e spargere sull’asfalto sangue e materia cerebrale.
Il 21 mi sono risvegliato in ospedale. Tutto era avvenuto solo nella mia mente: secondo i medici avevo avuto una sorta di attacco epilettico.
Appena i sedativi me lo hanno consentito ho firmato e sono tornato a casa.
Un’altra volta mi sono accorto che era il 20 luglio per strada. Stavo tornando a casa quando ho visto un Suv sobbalzare su un dosso mentre faceva retromarcia. Uno di quei dossi gialli e neri che mettono per rallentare le auto nelle zone residenziali. Di solito non noto una banalità del genere. Ma era il 20 luglio ed è come se al posto del dosso ci fosse stato il mio corpo. Ho sentito il dolore delle costole che si rompono e perforano gli organi interni. Ho urlato.
Poi di nuovo il letto d’ospedale del 21.
 
Quest’anno fa molto caldo. Per questo sono venuto al mercato. Sudo tanto e ho bisogno di maglie leggere. Scorgo un banco di intimo e frugo tra la merce esposta. Dal mucchio esce un panno bianco. È una canottiera di quelle con le spalline. Sento il mio cuore fermarsi. Ora so che giorno è. La indosso. Sento un dolore lancinante propagarsi per ogni cellula del mio corpo.
Vedo Carlo, canottiera bianca, rotolo di nastro da pacchi sul braccio, raccogliere e sollevare un estintore brandendolo contro il Defender dei Carabinieri. È di nuovo quel maledetto 20 luglio. Gli spari, Carlo per terra, il nero del passamontagna che si inzuppa di rosso, sangue e cervello sull’asfalto, il rotolo intorno al braccio. Il Defender investe due volte il suo corpo. Poi mi ricordo di quell’altro, a poche decine di metri di distanza. Impotente, sgomento, figlio della stessa rabbia. Io.

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