La fine dell’infanzia

Gli occhi neri di Izo schizzavano come mosche impazzite dai seni di Kichi alle sue labbra.
Si conoscevano da sempre, ma dall’ultima volta che erano stati così vicini erano trascorse ere.
«Sei sicura che te la senti», le aveva chiesto con una voce che gli aveva ricordato l’acqua del rubinetto appena aperto.
«Sì», Kichi si era spostata i capelli dietro l’orecchio.
«Io non so come si fa, cioè ci posso prov-», Kichi lo zittì fermandogli le labbra con le sue.
Sapeva di Okonomiyaki alla piastra e di altre cose buone.
Kichi gli prese la mano e se la mise sul seno. Le dita di Izo sfiorarono appena il capezzolo turgido e le mosche dei suoi occhi si fermarono sulle labbra di lei, come su una pesca succosa e resa troppo matura dalla calura estiva.
Le biciclette appoggiate al salice erano gli unici spettatori di quella sua prodezza e Akinori, l’indomani, non gli avrebbe mai creduto.
«Ma chi, proprio tu Izo, con Kichi?», gli avrebbe detto l’amico ragliando una delle sue risate.
Eppure erano lì, lui e la sua amica di sempre, la compagna più fidata, la detentrice dei segreti mai detti, pronti a sperimentare quel desiderio che Izo sentiva crescergli nei pantaloni e nella testa.
«Io l’ho visto fare ai miei genitori», Akinori le sparava sempre grosse, ma era stato convincente quella volta. «È una cosa che dura poco, ma sembra molto faticosa. Basta che ti abbassi le brache e le tiri su la gonna, due colpi con i reni e via». L’aveva detto mimando la scena.
Allora, gli era sembrato un gesto facile, anche se un po’ buffo, ma in quella mattina di agosto, sotto le fronde del salice dove giocavano da bambini, sembrava un’impresa mastodontica.
«Lasciati andare», le mani sudate di Kichi gli stringevano i fianchi.
Izo sentiva il cuore pulsargli nelle tempie. Indirizzò lo sguardo lontano, alla vita di tutti i giorni che, dopo quel momento, non sarebbe più stata la stessa.
Un calore inedito lo pervase quando si sentì scivolare dentro di lei.
Un gemito acuto e una smorfia di dolore si dischiusero dalla pesca ora vermiglia delle labbra di Kichi.
«Non voglio farti male», sussurrò Izo mentre un piacere nuovo lo invadeva.
«Continua», Kichi strinse forte la presa sui suoi fianchi e lo baciò sulla fronte.
Izo guardava ancora lontano, oltre le biciclette che li avevano portati fino lì. Oltre i telai, al di là delle fronde, la città brulicava di vita come ogni mattina.
Izo si spinse dentro di lei e sentì i bambini che erano stati svanire in quell’abbraccio caldo.
Esitò un istante prima di chiudere gli occhi. Appena in tempo per vedere il sole precipitare e schiantarsi sulla sua città.
Non si accorse degli uccelli bruciati in volo. Non seppe di quelle ottantamila vite tornate cenere. Non seppe dei suoi genitori, né di Akinori. Non seppe nemmeno che il cemento si era sciolto come ghiaccio sotto il fuoco. Non seppe altro che il respiro di due che si fa uno, Izo, prima di chiudere gli occhi, mentre l’ultimo sole – l’unico sole – si schiantava su Hiroshima.