La moglie dell’artista

Finalista nella 149° Edizione di Minuti Contati con il Team di Specularia come guest stars, un racconto di Filippo Mammoli.

 
Mi lancia la sua solita occhiata, che non so più quanto sia rivolta a me e quanto invece agli altri. Uno sguardo malizioso, un modo neppure troppo velato di marcare il territorio. Non si preoccupa più da anni di quello che posso pensare io. Di cosa mi passi per la testa mentre resto in piedi, splendida nel mio vestito da sera da seicento euro, calice di Champagne in mano, costretta a improvvisare una conversazione occasionale con il coglione di turno.
«Suo marito è davvero un grande artista. A parte il fatto che scrive da Dio, il suo ultimo romanzo l’ho divorato in una notte, ma è nel modo di muoversi, di sorridere e di porsi di fronte alle persone, che si percepisce una sensibilità fuori dal comune.»
Non lo degno neppure di uno sguardo. Osservo annoiata il fondo vuoto del mio flute. Dio che pena! Davanti ai miei occhi la sua immagine si sovrappone a quella di una giovane ballerina sgraziata, truccata in modo troppo vistoso, che dimena il culo come un’ossessa. Mi domando se sia giusto rispondergli.
«Non vorrei deluderla, ma io non sono la moglie di un grande artista.»
Mi fissa incuriosito, alla ricerca del senso profondo della mia affermazione. Sono certa che l’abbia presa per una battuta a effetto e voglia provare a dare una risposta all’altezza. Sorride malizioso.
«Ha ragione, mi correggo. Giorgio Mancini è un artista unico, eccezionale.»
Non voglio sprecare fiato. Appoggio il bicchiere sul tavolo e mi allontano, mentre gli mostro la mano sinistra e mi sfioro l’anulare privo della fede nuziale. Chissà se ha capito. O forse sono io che fingo di non capire.
Ricordo ancora quanto fossi euforica in occasione della prima serata di beneficenza organizzata da Giorgio, quasi dieci anni fa. Ero fiera di lui, soddisfatta di recitare quella parte.
Un braccio intorno alla vita mi costringe a voltarmi. È Giorgio che sorride accompagnato da un giovane con vestiti e modi da vecchio.
«Serena, ti presento Andrea Cardosa, il più grande poeta avanguardista italiano del ventunesimo secolo. L’erede di Zanzotto.»
Mi squadra da capo a piedi, come se dovesse comprarmi e volesse assicurarsi di non portare a casa un oggetto difettoso.
«Incantato.»
«Piacere mio» rispondo sforzandomi di risultare garbata. Lui rivolge lo sguardo verso Giorgio e finge un’espressione di curiosità.
«Mi domando quali doti interiori debba avere una donna per stare al tuo fianco. Quelle esteriori sono manifeste. Posso chiederti di cosa si occupa?»
Mi defilo subito. Lascio che sia Giorgio a rispondere, tanto era il suo parere quello a cui era interessato il poeta. Passo dal buffet e prendo un calice di vino rosso.
Esco, ho bisogno d’aria. E magari di scambiare due chiacchiere disinteressate, anche su argomenti futili, sul tempo, sulle giornate così lunghe agli inizi di Giugno, su quanto sia buono il mojito d’estate, su qualsiasi cosa purché con qualcuno che mi conosca davvero. Mi dirigo sul retro della villa, nel giardino interno poco frequentato. Mi accorgo quando sono già fuori che forse sto cercando di restare da sola.
Con lo sguardo verso le colline, mi appoggio alla staccionata e sorseggio il mio lasciapassare verso l’oblio.
Comfortably numb, forse è questa la mia massima aspirazione.
«Serena, ma sei tu?»
La voce mi sbalza indietro nel tempo prima ancora di voltarmi e avere una faccia da sovrapporre ai ricordi. Un sorriso incontrollato mi riempie il viso.
«Oddio, Liuba, non ci credo!»
«Speravo di incontrati, quando mi hanno invitato. Anticipo la tua domanda, sono qui come assessore alla cultura.»
«Ma è bellissimo! E poi è proprio un ruolo che fa per te.»
«Vero, sono molto contenta. Tu invece cosa mi racconti? Mi sembri come dire…fuori posto.»
«Si vede così tanto?»
«Puoi ingannare tutti, eccetto due persone. Una sono io.»
«Non credo che Giorgio percepisca nulla al di fuori della sua persona.»
«Non è di lui che parlavo infatti. Parlavo di te.»
Mi colpisce. Dritta al cuore, come ha sempre fatto.
«Scommetto che hai smesso anche di dipingere. Cazzo, eri bravissima.»
Non ho il coraggio di rispondere. Mi vedo, attraverso i suoi occhi. Finalmente riesco a toccarmi, oltre la gabbia che mi sono lasciata costruire intorno.
Oltre il riflesso dello specchio che non avuto il coraggio di mandare in frantumi.