La nuova situa

Il ragazzo sta seduto sul pouf in soggiorno. Almeno, sta seduto come stanno seduti loro, un po’ su e un po’ giù, insomma non si decidono. Sembra un sacco di merda, porca troia. Che c’ha undici anni adesso.
«Oh!» gli faccio. «Ma non puoi stare su un po’ più dritto? Che non te lo dicono più alle medie, di star su dritto?»
Alza le spalle, il ragazzo, e continua a guardare le piastrelle.
«Ohi! Dico a te.» E sto quasi per incazzarmi, tirare indietro la sedia della cucina e andare a dargli una smossa. Poi però anche basta, che mi sono rotto le palle di far da genitore a uno che c’ha cosa, quindici anni meno di me? Gliel’ho sempre detto a Jessica, che il padre non lo volevo fare. E tant’è, padre non lo sono, non l’ho fatto, e non mi metto certo a farlo adesso che è finita.
 
La pendola è lì che ci guarda, cinque in punto mi han detto.
«Dai» gli faccio, «dieci minuti e basta, poi ce la sfanghiamo tutti e due. Che dici?»
Alza ancora le spalle, il ragazzo. Fa dondolare avanti e indietro il trolley con dentro tutti i vestiti. E mica me la rende facile, porca troia. Siamo tutti in lutto, mica solo lui. Non è che a me fa piacere ‘sta situa del cazzo, ma bisogna sopravvivere. Vuol stare zitto? E allora sto zitto anch’io, vediamo un po’ che bello è.
«Cos’è» gli faccio, «non dirmi che già ti manco.»
Si irrigidisce tutto, uno stronzellino bello duro.
«Ah! C’ho beccato. Ma allora sei debole.»
«Che mi frega» risponde.
Se lo sentisse sua madre. «Debole e pure musone! Dai che sto scherzando, smollati un po’ porca miseria. Allora, pensa a questo: quando arrivano a prenderti, finalmente non dovrai più sopportarmi. Io non ti dovrò più sopportare, cazzo.»
«Hai detto quella parola.»
«Cosa, cazzo?»
«Mamma dice che—»
«Tua madre non c’è più, porca troia!»
E l’ho zittito, certo, guarda come sta lì a guardarmi come se dovesse ammazzarmi. Ma Cristo Santo però c’ha ragione anche lui, c’ha solo undici anni e io che sto qui a pisciare sulla ferita. Bell’uomo di merda che sono, va’ là, forse ‘sta nuova situa è davvero un passo avanti per lui., che non deve più stare ad ascoltarmi.
«Tua madre non c’è più» faccio segno di sì, lentamente, e non so perché faccio segno di sì perché gli ho appena detto che no, non c’è più. Vabbè. «Però senti, Filippo, noi siamo forti, eh?»
«Me lo dite tutti. Tutti quanti.» E c’ha la faccia di uno che se l’è davvero sentito ripetere.
«Ma tu non ascoltare quegli altri stronzi. Loro sono diversi, a loro mica è successa una cosa del genere. E invece io…»
Io, cosa?
«Tu cosa?» fa appunto lui.
«…io ci stavo bene. Jessica per me era un po’ tutto quello che… cioè, aspetta, ci stavo bene ma mica volevo sposarla, eh.»
E ora sì che son davvero uno stronzo. Cos’è ‘sta cosa, dove sono i quindici anni tra me e questa mezza pugnetta che ora mi guarda e… ha sorriso, perdio, sì ha fatto un mezzo sorriso.
«Senti» e guardo la pendola, mancano due minuti. «E adesso fammi parlare, però. Tra poco sono qui, ti caricano in auto e non sarai più costretto a vedermi. Perciò fammi il piacere, niente musi duri o roba così, che è il genere di cose che quelli là si aspettano. Che poi, nemmeno a quelli là piacerà fare il mestiere che fanno, a prender su gli orfani e portarli a spasso per mezza…» Che cazzo dici, puttana miseria! «Dicevo. Filippo, io e te staremo alla grande. Ognuno a casa sua. E la tua sarà anche più bella. Senza questa pendola di merda che Jessica mi ha sempre detto di buttarla nel cesso, e invece io a dire è casa mia, e invece adesso se potessi tornare indietro e averla anche solo per un minuto io a ‘sta pendola le attaccherei fuoco e…»
Calmati. Non di fronte al ragazzo. Non di fronte al ragazzo.
«Insomma. Con la nuova situa, vinciamo tutti e due. Come in alcuni sport, che—»
«Come nel tennis?» mi fa lui.
«Ma come, nel tennis. Ma allora non sai niente. Come nel calcio, toh, quando sono nel girone di andata e pareggiano, e tutte e due le squadre si battono le spalle a vicenda, intanto si prendono pari punti ciascuna e al futuro chissenefrega, ci penseranno più avanti.»
«Io non ti ho mai visto guardare il calcio.»
«Sarà che davanti alla tele ci stavi sempre tu.»
E Jessica a dire che ti ci dovevo lasciare. Ma questo non te lo dico, Filippo. E non so se è per far bene a te oppure a me.
 
E finalmente suonano al campanello.
Filippo si alza, su bello dritto come lo stronzellino che è, e prende la maniglia del trolley e va ad aprire la porta.
Io non so come comportarmi con quelli là quando entreranno, se posso star qua seduto su questa seggiola della cucina o devo andare a mettergli una mano sulla spalla, al ragazzo. No, perdio, quello mi pare troppo. Però mi alzo in piedi, ecco, questo mi sembra giusto.
E dalle scale vengono i passi, e Filippo si volta, che c’ho il magone io per lui.
«Come in un girone d’andata?» mi chiede.
«Ma che cazzo ne so.»