La Prima Seduta

La madre superiora alza lo sguardo. Il suo occhio di vetro mi mette sempre in soggezione, senza contare i suoi denti di ferro. «Dimmi, suor Veronica.»
Deglutisco. «Reverenda madre, vorrei imparare a cucinare per il convento.»
«Hai una vena creativa, vero cara?»
«Non so.» Sposto il peso da un piede all’altro. «Vorrei provarci.»
Il sorriso di ferro si allarga sempre di più. «Ma certo cara, se per te è importante…»
 
Il maître del Ritz lucida le otturazioni dei suoi incisivi con la punta della lingua. Mi strizza l’occhio buono, quello di vetro rimane inespressivo. «Ottima la tua rivisitazione del tiramisù con succo di limone al posto del caffè!»
Il personale della cucina si unisce in un applauso.
Mi stringo nelle spalle. «Finalmente una gratifica, dopo tutte le giornate che sgobbo come una schiava.» Si pietrificano tutti. Che scema che sono a scaricare su di loro i miei problemi.
«Mia cara.» Il maître mi prende un braccio. «Con me puoi confidarti.»
«Scusa, è che a volte vorrei aver fatto scelte diverse per… sentirmi più libera.»
«Hai tutta la vita davanti, chissà!»
 
Faccio roteare il lazo e lancio la fune, stringo bene le cosce per aggrapparmi alla sella. Il cappio si infila nella testa del toro. Cavalco a casa, il manzo mi segue senza discutere. Scendo da cavallo, le gambe mi dolgono, non sono più così giovane. Antonio si avvicina, i suoi baffoni neri sono più osceni di quelli di Salvador Dalì. «Buenas tardes, señora Veronica! La cena è servita.»
Annuisco, chissà cos’hanno preparato stavolta, probabilmente l’ennesima variante di tortillas al ragù. Entro in casa e mi siedo sulla cassapanca accanto alla pendola. Il bilanciere oscilla da una parte all’altra in un ciclo infinito. Ecco il mio unico amico, un oggetto che non fa altro che ricordarmi quanto sia sola.
«Señora, qué pasa?» I denti otturati scintillano nella penombra.
«Ah! Antonio. Come ho fatto a sprecare così la mia vita?»
 
Finisco il caffè e lascio un euro sul bancone. Mancherebbero venti centesimi, ma per oggi l’inflazione può andare in malora! Il barista si avvicina, ha un occhio di vetro e gli incisivi otturati. «Tutto bene signorina?»
Faccio spallucce. «Ho mollato il moroso dopo sette anni, secondo lei come potrei sentirmi?»
I denti di ferro spuntano dal labbro. «Non saprei.»
Mi appoggio al bancone. «Forse l’amore non fa per me. Era un po’ che ci pensavo, ma ho deciso di andare in convento per un po’, ho bisogno di stare in pace.»
Il barista è crucciato. «Mmm, no. Ci hai già provato.»
«Come?»
 
Alzo lo sguardo, il sorriso metallico del dottor Droste è sincero, per quanto grottesco. Mi metto seduta sul lettino, il mio corpo è ancora intorpidito dall’ipnosi.
Droste mi fissa con l’occhio buono. «Com’è andata?»
Sospiro, intreccio le dita. «Sono confusa.» La psicanalisi all’avanguardia del dottore doveva aiutarmi a scoprire me stessa, però mi sento ancora piccola, insicura e infelice.
«Non spererà di riuscirci dopo sole quattro vite.» I denti di ferro luccicano. «Ci rivediamo la settimana prossima, mia cara.»