La sorella minore

«Guardalo, ha proprio lo stesso naso della madre!»
«A me sembra che assomigli molto di più a suo padre. Domani vi porto una foto di quando aveva due giorni e vedrete se non ho ragione.»
Faccio due passi indietro dal vetro della Nursery per non essere costretta a partecipare al gioco assurdo delle somiglianze che si è già scatenato tra mia madre e la suocera di mia sorella.
Mia madre ha una luce feroce negli occhi e ogni tanto si volta a lanciarmi un’occhiata piena di rimprovero.
Dio quanto odio questa gara, questo tentativo di marcare fin da subito un territorio, come se si trattasse di una proprietà di cui rivendicare il possesso.
Mi volto per allontanarmi da quest’atmosfera intrisa di ridicola ipocrisia, quando mi sento strattonare per un angolo della giacca.
«Anna!»
Il suono della voce di zia Gabriella, che riconosco all’istante, mi mette in subbuglio. Temo di indovinare l’argomento di una sua possibile domanda o esclamazione.
«Francesca ti ha battuto eh…»
«Già» rispondo con voce sommessa e con la testa bassa sperando che si fermi lì. Ma no, non mi faccio troppe illusioni.
«Anche questa volta.» Aggiunge facendo l’occhiolino. Oddio, penso, qui si mette male.
«Prima a laurearsi, prima a sposarsi e adesso anche prima a diventare mamma. E pensare che è più giovane di cinque anni.»
«Grazie zia. Ci sta che lo sapessi già.»
«Ma non te la devi prendere» continua prendendomi le mani.
«In tutte le famiglie c’è qualcuno che arriva sempre primo in tutto. Te lo dice chi sa per esperienza personale cosa vuol dire primeggiare.»
Mi sottraggo senza tanti complimenti alla stretta stucchevole della zia e mi dirigo di passo svelto verso il distributore automatico di bevande. Ho proprio bisogno di nascondermi e di prendere un caffè.
No, cazzo! Vedo accorrere zio Carlo, il marito di Gabriella. Sembra impossibile, ma riesce a essere più antipatico e indelicato della zia.
«Scusami se ti saluto appena Anna, ma tua sorella ti ha rubato la scena anche stavolta. E tu cosa aspetti? Guarda che non sei più una ragazzina. Ah…ho capito. Siamo ancora allo step zero, ti manca la materia prima!» Se ne va con una sonora risata.
Passo di fronte alla saletta d’attesa, ma tiro dritto. Ho bisogno d’aria. Giro l’angolo e vedo le porte dell’ascensore che si aprono. Ne escono due ragazze, due volti conosciuti. Devono essere amiche di Francesca. Entro nell’ascensore e, senza un motivo, schiaccio il bottone con il cinque.
Le porte si chiudono. Sono sola.
Mi dispiace per Francesca, non sono andata neppure a salutarla per vedere come sta.
Ma non ce la faccio. A pensarci bene non ce l’ho mai fatta con lei.
Esco dall’ascensore senza una meta precisa. Do un’occhiata in giro e vedo una stanza piccola, con due soli letti, entrambi vuoti.
Entro e vado di corsa verso il terrazzo. Nella fretta di non essere vista, inciampo nel minuscolo scalino che conduce al balcone.
Un flash mi assale. Ho sei anni e corro per fuggire da mia sorella che mi ruba tutti i giochi. Cado distesa davanti alla mamma.
«Tua sorella ha appena un anno e cammina già meglio di te. Alzati piccola buona a nulla!»
Questa volta non finisco a terra perché riesco a mettere le mani avanti per afferrare la ringhiera.
Un’occhiata verso il vuoto sotto.
Questa volta posso batterla.
Salgo sul parapetto e mi lancio senza indugi.
Finalmente prima.