Le correnti gravitazionali

La tazza blu che Elena mi regalò durante il viaggio di nozze è sempre più pesante. Pensa quando sarà colma di latte fino all’orlo. Le mani non mi fanno più tanto male ma è come se avessero perso forza, come se facessero sempre meno presa.
«Ugo, ma dove sei andato a preparare la colazione, in paese?». La sua risata mi arriva ovattata, come se avesse parlato tenendosi il cuscino premuto sulla bocca.
Che brutta immagine, razza di imbecille che non sono altro. Eppure quel fattaccio è ancora ben presente nella mente di tutti. La notizia mi scorre ancora davanti agli occhi.
Aveva più o meno la mia età, o forse era più vicino di me ai novanta. Si era stancato delle medicine, delle file all’ASL, delle ecografie all’addome e di quella sensazione di umido nelle mutande. Era stanco di farsela addosso e di vedere la propria compagna smontarsi giorno dopo giorno. E così addio. Un cuscino sulla faccia a spegnerla per sempre e poi giù, un salto di cinque piani. Lo ha trovato il filippino che fa il bidello alle elementari.
Se n’è parlato per un mese di fila.
Elena no. Lei non ha mai detto niente se non quel primo, istintivo “succede proprio così”.
No, non è proprio una bella immagine quella di Elena coperta da un cuscino.
«Senti regina madre, se hai tanta fretta puoi anche farla a buffet la colazione!».
Aspetto la sua risposta stizzita ma sceglie un suono gutturale, il suo solito modo di sottolineare quanto poco degno di considerazione io sia in certe circostanze. Mi conosce davvero bene, perché ancora oggi, dopo sessant’anni insieme, mi fa incazzare quando fa così.
Il corridoio mi accoglie e mi ingoia tra penombra e quadri d’autore che io ignoro, concentrato come sono sulla mano che inizia a tremare e a cedere sotto il peso della colazione.
Il raggio di sole che arriva dalla camera da letto sembra incitarmi a non mollare e a non cedere alla voglia di lasciare andare il vassoio. Ma perché cacchio mi ostino a fare cose che facevo secoli fa? Questa roba pesa quintali. E fino a qualche anno fa era una cosa scontata portarle la colazione a letto. Adesso è tutta una conquista.
La verità è che dentro sono ancora il ragazzo che si alzava alle sei del mattino per spaccarsi la schiena dodici ore di fila dal fattore e poi rientrava affamato e stanco ma pieno di voglia di fare l’amore fino ad avere il fiatone. E lo facevo, perdio. Eccome se lo facevo.
Che discorsi da rincoglionito. Patetici, ecco, così li definivo quando li faceva il nonno. Mi sembravano tutti discorsi stereotipati, luoghi comuni.
E ora che l’interruttore resiste come se fosse sigillato col silicone, sembrano la cronaca delle mie sofferenze quotidiane, altro che stereotipi.
Entro in camera e per un attimo la vedo giovane, forse di venticinque anni. È distesa su un fianco, completamente nuda. La mia Elena mi guarda e il ricordo di un’erezione sembra quasi farsi realtà.
La mente, l’ultima a cedere ai soprusi del tempo ma quella capace di fare i danni maggiori, mi regala persino il profumo di un corpo giovane, fresco, più forte di tutto.
Sbatto le palpebre e in quelle lenzuola, raggrinzite come la pelle di queste mani che a fatica reggono un vassoio, si materializzano gli occhi di mia moglie, prigionieri di un corpo violentato dal tempo.
Lo sbattere d’ali di un piccione là fuori mi ricorda del vassoio e torno a concentrarmi, per non farlo cadere.
«Come sei serio amore mio. A che pensi?».
Cerco di adagiare il vassoio sul comodino senza spaccarmi la schiena ma perdo per un attimo l’equilibrio. Riesco a non far cadere nulla ma non a impedire il piccolo effetto tsunami nelle tazze. Latte versato. Dovrò pulire tutto. Maledetta vecchiaia.
Mi distendo accanto a lei. Dio se è bella. Il tempo è crudele. Sembra rispettarti giorno dopo giorno ma quando non te ne accorgi, ti porta via un pezzettino alla volta.
Però è sempre bella e farei di tutto per fermare il tempo e regalarle l’eternità.
«A niente amore. Pensavo alle correnti gravitazionali e a come superarle».
La bacio lentamente sulle labbra e tutto si ferma.