L’interrogatorio

Un carnefice e una vittima, tutt’intorno la paura. E il coraggio. Quinto classificato nella Novantanovesima Edizione di Minuti Contati con Franco Forte come guest star, un racconto di Marco Roncaccia.

 
L'interrogatorio
 
«Parla!»
 
Resterai muta, non dirai niente.
 
«Io godo con le cattive maniere ma, sai, è come per il sesso, per fartelo venire duro è necessario qualche preambolo, leccatine, frasi porche, roba così, e a me, se non ci provo con le buone, non mi viene duro».
Gambe e braccia legate sotto il pianale di una panca di legno, di lui senti solo la voce.
 
«Tutti con me parlano. Anche tu lo farai. E sai come faccio a esserne così sicuro?»
 
Al tuo silenzio segue un fruscio, un’ombra che intravedi.
Il dolore lancinante al seno ti lascia senza fiato. Non riesci nemmeno a gridare.
Senti le lacrime rigarti il viso e bagnarti i capelli.
 
«Ti ho chiesto: Sai come faccio a essere sicuro che parlerai. Tu avresti dovuto rispondere tipo: come fai? Cioè non è che mi stai rivelando niente, è una cortese interazione tra carnefice e vittima, niente di più. Riproviamo.»
 
Ora vedi la sua faccia controluce sopra la tua. Un ragazzo di al massimo 18 anni.
Alza di nuovo il manganello e ripete: «Sai come faccio a essere così sicuro che parlerai?»
«No, come?» piagnucoli tu.
 
«Bene facciamo progressi. Io lo chiamo il dono. Ce l’ho da quando sono nato. Una vera botta di culo per uno del mio mestiere. Guardo un tizio in faccia e inizio a vedere delle ombre che si muovono fino a prendere la forma delle paure profonde di quel tizio. Di uno una volta ho visto che era caduto dalla culla, un mese in coma tra la vita e la morte. Ho canticchiato il motivo del carillon che associava a quel momento e ha sputato il rospo in un secondo. Cristo se parlerai!»
 
Se ne va. Rumore di acqua che scorre. Torna. Ti mostra uno straccio e un annaffiatoio. Lo inclina appena e un fiotto di acqua ti cade sul naso e sulla bocca. soffi per tirarla fuori, e tossisci.
Poi il buio cala. Ti ha coperto la faccia con lo straccio.
Il getto adesso è potente ti senti pervadere dal liquido. Non c’è più aria. Finirai annegata. Sei perduta.
Poi torna la luce. Ti toglie lo straccio dalla faccia e dice:
 
«Bello questo gioco? Si chiama Waterboarding. Molto di moda tra i marines. Hai avuto problemi con il primo bagnetto a quanto pare!»
 
Devi tirare il fiato prima che ricominci.
«E tu di cosa hai paura?» gli chiedi.
 
«Io, se mi guardo allo specchio, vedo solo la mia faccia. Non ho paura di niente!»
 
Si china a scrutarti.
 
«Ora basta giocare con l’acqua. Vedo un’ombra molto promettente»
 
Ha una scatola di carta, apre il coperchio. Ti alza la testa per farti guardare dentro.
Vedi un piccolo ragno nero con una macchia rosso vivo sull’addome.
Ti irrigidisci. Gli occhi sbarrati. Cominci a tremare.
Lui sorride soddisfatto. La tua bocca si schiude.
Sa che parlerai.
Parli.
«Tu senza paura? Pensa a ciò che vedi nello specchio!»
Non è l’informazione che voleva.
Poi fai una cosa impossibile per te.
Muovi l’unica parte libera, la lingua.
Come un camaleonte con la sua preda, peschi nella scatola.
La puntura sublinguale della vedova nera arriva immediata.
Un ultimo sguardo al tuo aguzzino.
Sta prendendo coscienza delle tue parole.
Ora sa di aver paura di se stesso.