Mi confesso

Non venivo in chiesa dal giorno della mia comunione. O forse era la cresima? Boh, nemmeno mi ricordo.
Ma tant’è, oggi sono qui per giusta causa: confessarmi e chiudere con il passato.
Tolte un paio di nonnine dai capelli grigio metallizzato posizionate nei primi banchi, non c’è anima viva.
E in realtà non garantisco nemmeno per loro.
Comunque, io non lo so se ci siete mai entrati in chiesa tipo di martedì mattina, ma giuro c’è un silenzio assurdo che ti fa quasi vergognare del rumore dei tuoi passi. E poi pure Gesù che ti fissa da là sopra ti mette una cazzo di agitazione peggio di quando passa la guardia di finanza.
Ma dove sta il confessionale? Ah, è lì, sulla sinistra, a metà strada tra l’entrata e l’altare. Lo raggiungo e avvicino l’orecchio per assicurarmi che non ci sia già qualcuno: pare di no, via libera.
Prendo un bel respiro e mi ci infilo dentro.
È proprio come nei film: buio e con quella grata vedo-non-vedo che ti divide dal prete. Che poi la parola confessionale mi ricorda sempre il Grande Fratello e mi viene da pensare alle nomination.
«Benvenuto, figliolo.» Una voce calda mi accoglie. «C’è qualcosa di cui vuoi parlare con nostro Signore?»
Mi inginocchio e congiungo le mani. «Salve, padre. Spero lei possa comprendermi e non giudicarmi.»
«Il giudizio non spetta a noi.» Pausa muta. «Io sono qui per ascoltarti.»
Porca troia, mi sudano le mani. Devo stare calmo!
Devo.
Stare.
Calmo.
È solo un prete, mica è un processo. E poi oh, sia chiaro, non ho mai ucciso nessuno!
Mi mordo un’unghia. «Padre, sono sincero, ho vissuto un po’ così in passato.»
«Così come, figliuolo?»
«Ma niente, nel senso che ho fatto un po’ di cose che non avrei dovuto fare. Però sa com’è, amicizie sbagliate, un po’ di disagio sociale, qualche problemino in famiglia che crea tanto background…»
Silenzio dall’altra parte.
«Padre?»
Al di là della grata scricchiola la sedia. «Capisco, figliuolo. Hai consumato degli stupefacenti.»
«Sì, padre. E sono qui proprio per mettere un punto.»
«Bene, vuol dire che il Signore si è fatto strada nel tuo cuore.»
«Può darsi, padre. Qualche giorno fa dopo una serata che nemmeno le racconto ho avuto una tachicardia galoppante, magari era proprio que—»
«Comunque,» il prete mi incalza «l’uso di sostanze sicuramente non è una bella cosa, ma il male lo hai fatto solo a te stesso. L’importante è che tu non abbia mai, come dire, rifornito altre persone, per intenderci.»
Ecco, lo sapevo che ora ci incartavamo su sto fatto. E mo che gli dico? «Padre, ascolti. Non parliamo di spaccio che davvero non è il caso. È solo che delle volte uno per averla per sé non ha abbastanza soldi. Allora magari ne vende un po’, ma così, giusto per poi averne un altro po’ per sé. Non so se sono riuscito a spiegarmi.»
«No.» Il prete mi inchiodò. «Ma ho capito lo stesso.»
Non posso vedere i suoi occhi e sta cosa mi turba, mannaggia alla miseria. Chissà che pensa di me…
«Figliuolo, capisco il tuo imbarazzo, ma Gesù è grande. E ora dimmi, perché hai deciso di cambiare?»
«Mah, padre, cosa vuole che le dica. Ho rischiato tante, troppe volte di essere arrestato.» Mi schiarisco la voce. «Mi è andata di cu—, mi scusi, mi è andata bene parecchie volte e ora non mi va più di rischiare. Poi c’è un maresciallo della finanza, un calabrese di quelli duri, che saranno dieci anni che mi corre dietro, ma alla fine non mi becca mai sul fatto e non è mai riuscito a farmi niente. Ma la fortuna prima o poi finisce.»
Cazzo.
Nemmeno finisco la frase che un tarlo mi si ficca nella testa. Ma vuoi mica vedere che quel bastardo di un finanziere si è nascosto qua dentro per farmi sto gioco delle tre carte? Un blitz proprio nel giorno che ho deciso di farla finita? In effetti ha fatto troppe domande tecniche… mi puzza.
Bisogna sterzare forte.
Con il massimo del silenzio, tiro fuori dalla tasca le ultime bustine che devo ancora smaltire e le ficco in un’intercapedine del legno in alto. Tossisco per coprire il rumore. Qui non le troverà mai.
E ora, mio caro finanziere, preparati alla sceneggiata. «E sa una cosa, padre, ogni tanto mi capita di sognare la mia foto in prima pagina sul giornale. Vedo mia madre non uscire più di casa per la vergogna del suo unico figlio in galera, e tutte le sue amiche pettegole che invece di aiutarla la lasceranno sola e abbandonata al suo destino. Loro a sventolare fiere i successi dei figli laureati, manager d’azienda e imprenditori internazionali, e mia madre a piangere nel buio della cucina, schifata da sé stessa e da quanto sia stata inadeguata come genitore. Questa cosa mi strazia il cuore.»
L’ho recitata bene dai.
«Figliuolo, sei un bravo ragazzo. Ora esci di qui e fai dieci Ave Maria e dieci Padre Nostro. Poi, se hai ancora qualcosa nelle tasche, esci e poggia qui davanti alla mia porta, che al resto ci penso io.»
Sì, sì, col cazzo. «Non ho più nulla, padre. Sono già mentalmente nella nuova fase. E ora, con permesso, Amen.»
Esco e mi incammino verso l’uscita, senza preghiere.
Io non lo so chi c’era là dentro, ma stavolta giuro, cambio per davvero.