Muro invalicabile

Il rumore di pentole arriva ovattato e distante.
Guardo l’inutile trapano sul tavolo della cucina. Diavolo, ho passato più di due ore a fare buchi, eppure non è cambiato nulla. Devo farne altri, più sparsi, più profondi. Domani Teresa fa il turno di pomeriggio, alle due mi metterò al lavoro. Tutto il giorno. E vado in ferramenta a comprare una punta buona, quella che ho lavora male. Non ho controllo. Se mi scappasse di affondare troppo, bucherei dall’altra parte.
Un’onda di eccitazione mi allaga lo stomaco. Un buco, una minuscola finestrella dalla quale guardare… mi alzo dalla sedia e ispeziono la cucina. Quante volte l’ho già fatto? Tante, ma magari mi è sfuggito qualche angolo nascosto che… no, basta. Troppo rischioso, quante volte ci devo ragionare ancora?
Torno a sedermi, appoggio l’orecchio sulla parete crivellata di fori.
Dall’altra parte Teresa scarta un involucro di plastica. Chissà cosa sta cucinando. Chissà com’è vestita oggi. Leggings? Tuta da ginnastica? Chiudo gli occhi. Sì, tuta da ginnastica azzurra, anzi celeste. Maglietta bianca che risalta quella splendida cascata di capelli rossi. No, un momento. È in casa a cucinare, di certo li ha legati in una coda.
I suoi passi non fanno mai rumore, i suoi piedini sono avvolti in un paio di morbide pantofole col pelo.
Una nota melodica arriva tra i rumori indistinti. È … la sua voce! Calco l’orecchio contro il muro, l’intonaco grezzo mi graffia la guancia. Non riesco a capire cosa dice.
Non vedo l’ora che arrivi la bella stagione, quando la sua voce mi viene a trovare attraverso le finestre spalancate.
Chissà con chi sta parlando. Qualche amica, artista come lei? O magari le piace il teatro, o i concerti. Qualche ragazzo. Una morsa soffocante mi stringe la gola. Allungo la mano verso le sigarette.
Mi passa per la mente in gonna e tacchi, che sale sul macchinone di un biondino palestrato. Rollo una sigaretta, mentre l’ansia mi strangola. Entro domani, avrò finito anche questa busta. No dai, se mi regolo, arrivo fino a giovedì. La cicca è pronta. La porto alle labbra, la accendo e tiro forte. Il fumo caldo mi stappa i polmoni, trattengo il fiato due secondi, butto fuori. Tra poco l’ansia sarà passata.
Butto la cenere a terra, tanto è un porcile comunque. Domani pulisco.
Mi alzo, apro il frigo. Birre grandi, sottilette, una cipolla agonizzante. Stasera crostini “oignon et fromage”.
Stappo la Bud, mi ci attacco, butto giù qualche sorso avido. La appoggio al tavolo e mollo un poderoso rutto. Lo stomaco è tornato normale, il respiro … Mi paralizzo. Che cazzo ho fatto. Che cazzo ho fatto. Sicuro mi ha sentito. E ora? Esco dalla cucina in punta di piedi. Sono un idiota. Mi accascio sul divano. Do un lungo tiro alla sigaretta. Il fumo mi apre prepotente i bronchi. Un’altra golata di birra. Vabbè, chissenefrega. Magari non mi ha sentito. E anche se fosse, poi? Non sono libero di ruttare in casa mia?
Tanto, cosa vuoi che gliene importi del vicino sfigato?
Quel muro è troppo spesso.
 
Mi guardo nello specchio opaco dell’entrata.
Pantaloni e camicia in ordine, i pochi capelli che mi restano ben pettinati. Mi schiarisco la voce.
«Ciao, vai al lavoro?» No, troppo diretto.
«Ciao, come va?» No, mi risponderebbe “bene, grazie” e poi silenzio imbarazzante per tre rampe di scale.
«Hey, ciao. Ho visto che ti piace l’arte e…» No, capirebbe che sbircio la sua posta. E poi non so assolutamente niente di arte. Che diavolo le dico? Guardo l’orologio. Ormai dovrebbe uscire.
Il rumore di un chiavistello riecheggia nel corridoio oltre la mia porta. Ecco, ci siamo. Mi spruzzo al volo il dopobarba del discount. Ha chiuso la porta, gira la chiave. Tra otto secondi passerà qui davanti.
Vado.
Metto la mano sulla maniglia.
Cosa le dico?
I passi si avvicinano. Oggi ha messo gli stivali.
Stringo la maniglia. Un semplice “ciao”, poi vediamo. Diavolo, non respiro. È più di un’ora che non fumo per non puzzare di sigaretta. Do una boccata d’aria. Stringo la maniglia, la mano non risponde.
Teresa è proprio oltre il muro. È li, a un metro da me.
Ora apro questa cazzo di porta, esco e la saluto. Al tre vado. Uno. Due…
Ma dove cazzo voglio andare?
Mi accascio a terra.
I passi si allontanano lungo il corridoio. Spariscono poco alla volta giù per le scale.