Nogai

Un soffio di vita, vita che scorre, la magia del non negarsi agli altri. Quarto classificato nella Quinta Edizione della Quinta Era con Emanuele Manco nelle vesti di guest star, un racconto di Fernando Nappo.

 
Il piccolo Nogai diede corda all’aquilone e lo osservò salire nel vento. Una folata e Nogai, inesperto nell’arte di governare gli aquiloni, s’irrigidì recuperando con troppa foga; la corda si tese una volta, poi un’altra, e infine si spezzò. Libero, l’aquilone prese il vento e partì senza meta. Nogai lo seguì nella sua corsa sopra gli alberi, tra le case, fino a vederlo scendere in picchiata tra i vicoli della periferia cittadina.
Ansimante, Nogai si fermò di fronte al cancello d’una piccola casa tradizionale. Seduto sui gradini c’era un vecchio con l’aquilone tra le mani. L’uomo, accortosi d’essere osservato, alzò lo sguardo: «È tuo?»
Nogai annuì.
L’uomo fece segno al bambino di raggiungerlo. «Purtroppo si è strappato. Dovrai ripararlo, se vorrai farlo volare di nuovo.»
Nogai prese l’aquilone e lo esaminò, pensoso. «Ora non ho i soldi per comperare dell’altra carta».
Il vecchio s’infilò un dito in bocca e saggiò l’aria. «È un vero peccato. Oggi il vento è perfetto per far volare un aquilone.»
Nogai non rispose, accennò un inchino e si girò per allontanarsi.
«Il mio nome è Majin» disse l’uomo. «Se mi concedi l’onore, riparerò il tuo aquilone e lo faremo volare di nuovo.»
Il viso di Nogai s’illuminò. «Davvero lo farebbe?»
«Aspetta e vedrai» disse Majin. Puntò le mani sulle ginocchia e lentamente si alzò. Aiutandosi col corrimano, salì i gradini e rientrò in casa. Ne uscì poco dopo con un paio di forbici. Guardò il piccolo e gli fece l’occhiolino, poi, senza pensarci due volte, infilò le lame delle forbici nella parete e tagliò un rettangolo di carta di riso.
Nogai si portò le mani alla bocca. «Così rovina la casa…»
Il vecchio sorrise. «Cosa vuoi che sia, mio piccolo amico? Se il tuo aquilone tornerà a volare, ne sarà valsa la pena.»
Scese i gradini, prese l’aquilone dalle mani del piccolo e disse: «Come ti chiami?»
«Il mio nome è Nogai» disse il bambino, chinando appena il capo.
«Bene, Nogai. Quello che mi serve per terminare il lavoro è nel capanno degli attrezzi. Ma tu aspettami qui, d’accordo?»
Nogai annuì.
Majin infilò una mano in tasca e ne trasse tre piccoli mandarini: «Così non ti annoierai nell’attesa».
Con un sorriso, Nogai prese i frutti e andò a sedersi sui gradini. Attese un poco, poi sbucciò il primo mandarino. Tra uno spicchio e l’altro, sputava i semi, giocando a lanciarli il più lontano possibile. Sbucciò senza fretta anche gli altri due, ma s’infilò i semi in tasca: li avrebbe dati al fratello perché si divertisse con la cerbottana.
Majin riapparve poco dopo. Nogai sgranò gli occhi per la meraviglia: il vecchio aveva riparato l’aquilone, e vi aveva dipinto sopra una farfalla, le ali gialle e rosse, il corpo blu, e in nero il nome Nogai.
«Ho anche cambiato la corda con una più robusta» disse il vecchio, «così non si romperà di nuovo.»
 
Sulla collina, seduto all’ombra di un albero, Majin osservava Nogai giocare con l’aquilone, felice e sorridente tra gli altri bambini. Un soffio di vento gli scompigliò i capelli. Majin si passò una mano sul capo per sistemarli e disse al vento: «Ti ringrazio, amico mio, ti sono debitore».