Non ho bocca e vorrei urlare

 
«Ah!»
Urla, reazione standard. Scappa, che novità. Ogni suo passo mi fa sobbalzare come neanche un T-Rex, oversize.
Vorrei sospirare, ma lo spago cucito a chiudermi la bocca mi fa desistere.
Entro in casa e mi accorgo che la donna ha fatto cadere la sigaretta sul tappeto. Poso la valigetta, la apro, prendo la pistola ad acqua e spengo il mozzicone: situazione già incontrata.
Prendo la foto, lo spillone, la matita a sangue e il foglio bianco e mi inoltro lungo il corridoio, in fondo una porta chiusa: il bagno, sempre lì vanno a rifugiarsi.
«Che palle» vorrei poter dire.
Raggiungo la porta e busso.
«Ah! Aiuto! Chi sei? Che vuoi?»
Ascolto le solite domande tirandomi un pelucco che s’era arrotolato sotto l’ascella. M’immagino a forzare la porta, se solo arrivassi alla maniglia…
Prendo la foto del tipo e la passo sotto.
«Ma questo è Ivan, quello stronzo!»
Scrivo con la matita a sangue sul foglio bianco e glielo passo.
Silenzio, sta leggendo.
La porta si apre. La donna mi guarda. Non ha più paura. Ora mi desidera, lo vedo, lo sento.
Mi afferra e mi trascina verso l’alto, i suoi occhi tradiscono l’impazienza.
«Dove devo firmare?» mi chiede.
Le faccio segno di tornare in salotto.
Corre. Vede il contratto, l’ho lasciato nella valigetta, sopra tutto il resto. Non lo legge neanche, lo firma con la matita a sangue.
Le porgo lo spillone.
«Bastardo, adesso avrai quello che ti meriti!» dice guardando la foto di Ivan.
Comincia a trafiggermi.
«Sì! Grazie a questa bambola voodoo venuta dall’inferno avrai quello che ti meriti! Sì!»
Vorrei urlarle di seguire i binari già tracciati nel mio corpo da chi prima di lei ha usufruito dei miei servigi, ma come un treno senza più controllo è ormai lanciata verso la sua perdizione.
 

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