I Nostri Grandi Amici da Frolix 8

La comunicazione, questa infinita e incomprensibile utopia. Un racconto di Adriano Muzzi.

 
Il 25 novembre 2040 è una data storica; una di quelle, nel bene e nel male, da far imparare a memoria nelle scuole.
Quel giorno ci fu il tanto desiderato primo incontro con una razza aliena: i «frolixiani», gli abitanti del sistema solare Frolix 8, i tanto sognati «ometti verdi» con le orecchie a punta.
Finalmente si ebbe la risposta alla domanda che aveva assillato fin dagli albori l’umanità: «Siamo soli nell’universo?»
 
C’erano stati degli accordi preliminari che avevano dato la possibilità a entrambi di prepararsi al meglio, di studiare le diverse culture nei minimi particolari per l’importante incontro; furono risolti parecchi problemi, non ultimo quello della traduzione simultanea inglese-frolixiano e viceversa.
 
L’ingegnere capo, responsabile del traduttore ‘universale’, osservò il presidente e il consigliere scientifico scendere dall’elicottero argentato: due fantocci imbellettati.
«Avete risolto il problema con il traduttore?» chiese il consigliere responsabile del gruppo di «primo contatto», mentre stava ancora percorrendo le scalette.
«Sì,» rispose l’ingegnere, «era una banalità, un piccolo loop nel software di una struttura secondaria, un nastro di Moebius di terzo livello.»
«Una banalità che ha comportato parecchi giorni di panico generale!» disse il presidente, mentre con una mano tirava il guinzaglio per far stare fermo il suo piccolo cane in preda a una crisi isterica.
«Una banalità a livello tecnico. Ma purtroppo la soluzione fornita dal consorzio costruttore cino-giapponese non è stata recepita correttamente. Diciamo che c’è stato un problema con la lingua… non ci siamo capiti. Comunque i miei tecnici sono lo stesso riusciti a venirne a capo» disse l’ingegnere, evitando accuratamente di incrociare lo sguardo del presidente.
«Beh, sembra un po’ un colmo che ci sia stato un problema con la ‘traduzione’ per aggiustare un congegno che dovrebbe essere un ‘traduttore universale…’»
«In effetti è un paradosso, tuttavia…»
«OK, basta così,» li interruppe il presidente, «l’importante è che adesso funzioni tutto in maniera ottimale in vista del summit di domani. L’importante, ribadisco, è che non ci siano malintesi o fraintendimenti tra di noi e la razza aliena per colpa di quel coso.»
«Sì, signor presidente» affermarono all’unisono lo scienziato e l’ingegnere, guardandosi entrambi le scarpe troppo lucide.
 
Il centro di controllo si trovava subito a ridosso della sala «rossa», il luogo in cui stavano avvenendo gli incontri tra i vari rappresentanti delle due razze. Era un continuo andirivieni di auto-capsule blindate che trasportavano degli esperti in vari campi dello scibile, più una serie di politici e diplomatici che facevano da inutile contorno agli incontri, come foglie di lattuga sul fondo di una pietanza di aragoste.
Uno stuolo di tecnici iper-specializzati, insieme all’ingegnere capo, non si perdevano nemmeno una sillaba dei dialoghi che avvenivano nella sala rossa.
«Come sono fatti fisicamente?» chiese l’ingegnere capo al consigliere scientifico del presidente, che era appena uscito dall’incontro per addentare un panino.
«Beh,» disse lo scienziato, quasi strozzandosi, «possiamo affermare che, per i nostri standard, il loro aspetto non è tra i più gradevoli. Hanno una fattezza che non ti aspetti, che fa capire quanto lontana sia la loro base fisiologica, sociale e culturale. Se è in parte l’ambiente a formarci, beh, noi e loro dobbiamo avere avuto un contesto molto, molto diverso.» Lo scienziato gli mostrò un breve video che immortalava uno degli alieni verdognoli mentre ‘discuteva’ con un umano.
«Uhm, capisco» disse l’ingegnere, accennando una smorfia e slacciandosi l’ultimo bottone del camice bianco per non strozzarsi.
«E poi c’è un’altra cosa…» gli occhi dello scienziato si fecero scuri.
«Sì?»
«Mettiamola così: il nostro traduttore funziona perfettamente, la sintassi è compresa pienamente, le parole tradotte mutano il loro significato relativamente al contesto del discorso, tenendo conto anche di quello che ha detto l’interlocutore, ma… ma il vero problema sono i contenuti, o meglio, i contenuti in relazione al retroterra culturale e sociale del soggetto, il cosiddetto ‘vissuto’. Il vissuto degli esseri umani è totalmente diverso rispetto al vissuto dei frolixiani.»
«Già, e come potrebbe essere il contrario?»
«Il problema,» continuò lo scienziato, «è che non parliamo di piccoli divari, ma di traiettorie che non s’incroceranno mai. Come faccio a spiegarti la rosa rossa se tu la percepisci di un altro colore, di un’altra forma e l’odore ti dà fastidio? Come faccio io, essere umano, a provare empatia per te, e tu, abitante di Frolix 8 per me, in queste condizioni?»
«Tra l’altro i maggiori problemi li stiamo incontrando nella condivisione dei valori etici, morali, che pensavamo fino ad oggi fossero universali. Invece quasi niente collima, siamo spiazzati. Ci sono dei punti della discussione che stanno aprendo enormi problemi diplomatici e relazionali.»
«Ma loro hanno imparato qualcosa della nostra cultura per prepararsi all’incontro?» chiese l’ingegnere.
«Sì, una cosa piuttosto assurda a dirsi…»
«Ossia?»
«Una canzone.»
«Ah, tipo… musica classica? Beethoven?
«No, magari.»
«Musica pop di nostri grandi autori? Che ne so: Beatles, Doors, Dire Straits?»
«Purtroppo no, un alieno ci ha cantato la ‘Fiera dell’est’, di un certo Branduardi…»
«E chi sarebbe?»
«Un cantautore italiano. Se vuoi ti faccio sentire la canzone dal mio smartphone.»
«Ok sono curioso».
Così si misero ad ascoltare il brano; alla terza strofa – ‘Alla fiera dell’est, per due soldi, un topolino mio padre comprò, e venne il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane’ -, l’ingegnere interruppe la canzone esclamando:
«Ma è una cagata pazzesca!»
«Infatti.»
«Ma i capelli sono i suoi?»
«Mah, sarà una parrucca!»
Un’altra persona si avvicinò a loro: barbetta bianca tagliata corta, occhiali con lenti colorate e una lunga coda di cavallo sulle spalle. Era uno dei filosofi della task force del summit.
«Come va ragazzi?» chiese il filosofo.
«Bene,» rispose lo scienziato, «stavamo discorrendo sui problemi di ‘diversità’ tra le due razze» e di gusti, pensò, senza dirlo, l’ingegnere.
Il filosofo divenne immediatamente rosso in viso e, con un tono di voce troppo alto, disse:
«No! Le diversità ci arricchiscono sempre! Tutti i più grandi errori storici che causarono guerre, razzismi e scontri di religione sono la diretta conseguenza di un’interpretazione errata della così detta ‘diversità’. Le nostre coscienze crescono anche grazie alle differenze che incontriamo durante la nostra vita, i nostri studi, i nostri amori…»
«Ehm, sì,» disse lo scienziato con un sorriso da ebete, «io volevo solo dire che…»
«Il vero problema che stiamo riscontrando con i nostri grandi amici di Frolix 8», continuò il filosofo come se lo scienziato avesse mosso le labbra senza emettere alcun suono, «è che sembra di parlare tra sordi. Noi umani iniziamo un argomento, loro continuano il dialogo come se non ci avessero proprio sentito, o peggio, capito.»
«Già, infatti. Tuttavia, sarebbe utile se provaste…» cercò di pronunciare l’ingegnere, ma venne subito interrotto.
«Tuttavia,» riprese il filosofo, «siamo speranzosi di apprendere dai frolixiani delle fondamentali nozioni che potranno darci una spinta eccezionale nel campo medico, fisico ed aeronautico. Certo il problema di comunicazione bidirezionale è molto grave e almeno per il momento non vedo una soluzione.»
«Ma se provassimo a…» non fece in tempo a dire lo scienziato che il filosofo si era già incamminato verso la sala del summit.
L’ingegnere e lo scienziato si scambiarono uno sguardo spento facendo contemporaneamente ‘spallucce’.
 
«Pronto? Cara, come va?» disse l’ingegnere capo parlando in vivavoce nella sua ibro-auto.
«Tutto bene e tu? E’ un po’ che cercavo di chiamarti, ma eri sempre irreperibile!»
«Uhm, sì, non potevo rispondere durante lo svolgimento del summit, adesso ti sto chiamando dalla macchina.»
«Va bene, senti, tuo figlio dovrebbe…»
«Scusa cara, ma ti volevo raccontare di quello che è successo all’incontro con i frolixiani; sai, è stato un evento molto importante per me e…»
«Sì, sì, caro, ti stavo dicendo: tuo figlio avrebbe bisogno di una mono-auto nuova perché l’attuale è diventata difettosa, praticamente inservibile.»
«OK, però ci tenevo a raccontarti di come…»
«Scusa, ma adesso devo proprio lasciarti, è arrivata Caterina, dobbiamo andare alla fiera. Ci vediamo dopo. Baci.»
«Alla fiera dell’est?»
«Eh?»
«No, niente, baci,» rispose l’ingegnere con una smorfia.
La strada sembrava un enorme nastro nero srotolato, una vecchia bobina di registrazione buttata via da qualche gigante irrequieto. L’auto lievitava leggera in un silenzio quasi irreale. L’ingegnere aveva stampato sulla faccia un mezzo sorriso perché non sapeva se ridere o piangere.
Vide dei cervi in lontananza che correvano nell’erba alta. «Abbiamo mai provato a comunicare veramente con gli animali?» disse ad alta voce. «Perché non l’abbiamo fatto? Perché?» Batté entrambi i pugni sulla cloche. La macchina sbandò e finì fuori carreggiata. Investì uno dei cervi. La testa del cervo aveva incrinato il parabrezza, un occhio vitreo fissava un punto indefinito all’interno dell’abitacolo.
«Perché non l’abbiamo fatto?» ripeté piangendo, chinando la testa sul cruscotto e accendendo la radio inavvertitamente: ‘…che picchiò il cane, che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò. Alla fiera dell’est, per due soldi, un topolino mio padre comprò…’
«Merda!»
 
Gli alieni dopo mesi di infruttuose ‘tavole rotonde’, incontri ufficiali e ufficiosi, canzoni varie, lasciarono definitivamente il pianeta Terra e gli esseri umani.
Umani che si resero conto di essere sempre più soli in un universo freddo e sconfinato. Sempre più soli tra miliardi di miliardi di stelle indifferenti. Sempre più soli in un mondo abitato da dieci miliardi di persone.
Dieci miliardi di isole, senza ponti e senza piccioni viaggiatori. Dieci miliardi di sfere che rotolano nella vita senza veramente sfiorarsi mai.