Numero Ventitré

«C’è un uomo che ci spia» disse sua figlia.
Riccardo mise il telefono in tasca e si alzò. Attorno a loro non c’era nessuno. Erano quasi le due del pomeriggio e a quell’ora il parco era deserto. Che fosse un maniaco?
«Sei sicura?»
La bambina annuì.
«Proprio lì, nel labirinto.»
Riccardo si avvicinò all’entrata della struttura di siepi. Dentro filtrava a malapena la luce. Era spettrale. Un vortice da cui sembrava impossibile uscirne.
«Qui non c’è nessuno» disse voltandosi. L’altalena continuava a cigolare ma, questa volta, senza nessuno sopra.
«Alice?» Riccardo fece un paio di falcate e si guardò attorno. Il cuore era imbizzarrito e sentì lo stomaco aggredirlo, con unghiate e morsi. Urlò il nome di sua figlia ma era scomparsa. Poi la sentì, una voce acuta che gridava aiuto. Veniva dal labirinto stesso.
Riccardo entrò all’interno del percorso e cominciò a correre con sicurezza fino alla prima biforcazione. Lì si fermò, tendendo l’orecchio. La chiamò, ma non ci fu risposta. Prese la strada di destra e si mantenne su quella decisione per almeno un paio di volte, fino a rimanere abbagliato dalla luce del sole. Aveva trovato l’uscita.
«Alice, dove sei?»
Davanti a lui si stagliava un piccolo edificio su due piani con le pareti a specchio. Ne rimase stordito, poiché prima non ci aveva fatto caso.
«Alice!» urlò di nuovo. Un uomo uscì dalla porta della casa e gli corse incontro.
«Cerca qualcuno?»
Riccardo annuì, riprendendo fiato.
«Sì, mia figlia. È una bambina di cinque anni. L’ha vista?»
L’uomo scosse il capo.
«No, mi spiace. Ma era nel labirinto? Perché se è così, ha soltanto tre uscite. Da che parte siete entrati?»
Riccardo era confuso, faticava a connettere.
«Siamo entrati, beh, da… da… dal Parco Gerosa. Era sull’altalena e…»
«Quale Parco Gerosa, mi scusi?»
«Come sarebbe quale Parco Gerosa? Quello qui dietro che…»
«Il Parco Gerosa è un secolo che non c’è più. Credo dal 2019.»
«Che… Che cosa sta dicendo? Noi siamo nel 2019!»
L’uomo lo guardò con aria preoccupata e gli mise una mano sulla spalla.
«2119, vorrà dire. Si sente bene?»
Riccardo si liberò della presa ed entrò di nuovo nel labirinto. Doveva trovare la terza uscita, anziché perdere tempo con i pazzi.
«Alice!»
Di nuovo la luce, di nuovo l’uscita. Si fermò sulla soglia, bloccandosi per la gioia nel vedere l’altalena e sua figlia che si dondolava.
Fece per chiamarla, ma la voce gli morì in gola. Non molto distante, sulla panchina, vide un uomo che armeggiava con lo smartphone. Aveva i suoi stessi vestiti, stesso taglio di capelli e… il suo stesso viso! Era uno scherzo? Un incubo? Incrociò lo sguardo di Alice e la bambina lo indicò con il braccio teso. Riccardo fece appena in tempo a nascondersi dietro allo scivolo, accucciandosi.
«C’è un uomo che ci spia!»
«Sei sicura?»
«Proprio lì, nel labirinto.»
Riccardo vide sé stesso dirigersi all’apertura fra le siepi e guardare dentro. Fu in quel momento che ne approfittò. Scattò come un falco sulla preda, raggiungendo in pochi secondi l’altalena. Afferrò Alice da dietro e la prese in braccio, tappandole la bocca. Aggirò il labirinto e trovò un altro ingresso del percorso. Vi si infilò dentro e quasi si perse. Dopo alcuni fallimenti decise di mantenersi ancora sulla destra, almeno per ritrovare l’uscita. Non tardò ad arrivare. Sbucò all’esterno, con la bambina in braccio che gridava e si dimenava.
Davanti a lui mezza dozzina di uomini armati di fucile, coperti da caschi e armature leggere. Sul petto la scritta “Ordine Cittadino”. Accanto a loro c’era il tizio che aveva incontrato prima.
«Lasciala» gli intimò qualcuno. Non capì chi.
Riccardo liberò la bambina, che corse piangendo verso l’uomo.
Questi le diede una carezza e Riccardo poté notare delle figure femminili che li osservavano dalla soglia dell’edificio a specchio. Erano una decina, d’età differente, ma con una cosa in comune: tutte assomigliavano incredibilmente ad Alice.
«Benvenuta nella tua nuova casa, numero ventitré» disse infine l’uomo, voltandosi e accompagnando la bambina dalle altre.