Ponti tibetani tra palazzi di città

Tigroidi e ponti tibetani appena fuori dal balcone del proprio appartamento di città. Terzo classificato nel Capitolo del Camaleonte dedicato a Neil Gaiman (Capitolo per il quale si è aggiudicato anche la COCCARDA), un racconto di Maurizio Bertino.

 
Finale
«Non esiste che me li tolgo! Sei matto?»
Avvinghiata alle corde del ponte tibetano, Sara guardava verso il basso e più guardava e più si avvinghiava.
«Sara, il tigroide zebrato sta arrivando, lo senti anche tu, sta sbuffando nella selva, ha trovato le tracce!»
Ormai al sicuro sull’altro lato del ponte, Dylan, il ragazzo che si era presentato come “l’Agente che risolve i problemi interspaziali”, scrutava la sponda opposta cercando di cogliere ogni piccolo movimento di rami e rovi.
«Ma l’hai detto tu che non si può sapere dove mi trovo! Qua l’unica cosa sicura è che sono su un maledetto ponte tibetano a centinaia di metri sopra il maledetto fiume che sento rombare qui sotto e se adesso mi tolgo questi stramaledetti occhiali va a finire che mi trovo tra due palazzi e mi faccio uno stramaledettissimo volo fino alla strada!»
«E allora muoviti! Raggiungimi! Sono su una zona sicura, lo vedi l’alone blu sul suolo? Vuol dire che qui le due realtà coincidono! Sbrigati!»
«Non ce la faccio! Soffro di vertigini! E poi ho sempre odiato i ponti tibetani!»
Dylan sorrise, un movimento veloce di labbra, un sussurro, quasi tenero, che sarebbe sfuggito a Sara anche se non si fosse trovata in bilico su un ponte di corde sbattuto avanti e indietro dal vento e con una gigantesca tigre coi denti a sciabola alle calcagna, per di più con il pelo di un fastidioso colore bianconero, cosa che potrebbe anche non dar fastidio, non più degli artigli lunghi mezzo metro, ma che a lei, torinese e granata nel cuore e nell’anima, provocava, oltre alla paura, anche una fastidiosa irritazione cutanea e pensieri assurdi tipo Tra tutte le tigri che potevano mangiarmi proprio una juventina doveva toccarmi!
«Allora aspettami! Vado a vedere se te li puoi togliere senza pericolo!» Le urlò Dylan cercando di controllare il sorriso e afferrando i propri occhiali.
«No no no, dove credi di andare? Tu non vai da nessuna parte!» Urlò di rimando Sara voltandosi verso il ragazzo. Ma lui era già sparito.
«Grunf!» Un verso alle sue spalle, il tigroide zebrato era uscito dalla selva e la stava fissando dal suo lato del ponte tibetano, leccandosi i baffi.
 
Antefatti
 
E dire che i suoi programmi per la serata erano di tutt’altro tenore: doccia, cena, serie tv con qualche patatina e magari anche una chattata con un tipo del sito d’incontri che le aveva scritto un messaggio carino, ma sì, perché no? La giornata era stata stancante e sulla strada verso casa s’era fermata a fare la spesa presso il Crai, o la Crai, mai aveva capito quale articolo richiedesse quel verso di corvo che qualcuno aveva deciso d’imporre come nome per una catena d’alimentari. E comunque, chi se ne fregava, un’alzata di spalle e via verso nuovi pensieri. Come quelli per il nuovo vicino, quello alto e biondo e muscoloso che stava con la secca. Roba che se non si chiamasse Torino, la città, ma Los Angeles, si poteva star certi che a quest’ora ci sarebbero state torme di sceneggiatori a cercare di costruirgli un plot che ne potesse esaltare il fisico, magari un nuovo eroe Marvel, visto che Thor era già stato preso. Oh, nessun problema, qualcosa si trovava che quello meritava e di sicuro avrebbe fatto incasso. O almeno, lei i soldi del biglietto li avrebbe spesi, anche due o tre volte, forse quattro, e con le amiche, e quanti risolini maliziosi nel raccontarsi cosa ci avrebbero fatto se solo…
«Ciao Sara, vuoi una mano con le borse?»
«Oh, ciao Th… Marco! Oh no, grazie, mi serve per farmi i muscoli, sai, così recupero la palestra che non faccio…»
«Ma se non ne hai bisogno, stai benissimo! Dai, ti saluto, vado a correre! Oh, ci sono un paio di occhiali sul tuo zerbino, magari ti sono scivolati stamattina mentre uscivi, non sapevo che li portassi, sono strani, ma di sicuro li indossi bene! Ciao!»
«Ciao…»
Ed ecco che le possibilità di cercare qualcuno sul sito d’incontri erano improvvisamente salite superando di slancio la serie tv con patatine. Sospirone e via verso la propria porta di casa. Le chiavi. Dove sono? Eccole. Borse maledette. Che peso… Thor…
Occhiali.
Sullo zerbino, ad attenderla, c’erano gli occhiali.
 
Era stata una cena densa di sospiri. Pomodori e mozzarella, una roba veloce. Mangiava e pensava a Thor che correva sul lungo Po. Fuori cominciava a rabbuiarsi. Era il momento di decidere il da farsi: serie tv con patatine o sito d’incontri?
«Sono strani, ma di sicuro li indossi bene!»
E le rivennero in mente gli occhiali. Li aveva lasciati sullo zerbino, non erano suoi e magari il proprietario sarebbe tornato a cercarli. Però Marco/Thor aveva detto che le sarebbero stati bene… Sì, che male c’era a provarli e specchiarsi e immaginarsi Thor alle sue spalle che la stringeva e le sussurrava Di sicuro li indossi bene!
E così fu un attimo: la porta, gli occhiali sullo zerbino, lo specchio e…
«Per la miseria!»
Di fronte a lei nessuno specchio, ma una terrazza d’edera. Il tramonto sullo sfondo, colori rossastri, vento leggero, calore e poi di nuovo lo specchio e gli occhiali tra le sue mani, niente più terrazza d’edera. Guardò gli occhiali, li rigirò, niente, nessuna marca, nessuna scritta. Li indossò di nuovo. CRA! Un corvo sfrecciò di fronte a lei e Sara si ritrovò ad ammirare il panorama a bocca aperta, letteralmente. Una montagna fumante, lontana. Un mare azzurro da un lato e un deserto dall’altro. La terrazza d’edera doveva trovarsi su un enorme albero, ma non enorme nell’uso normale della parola perché enorme può essere definito un energumeno alto il doppio di un altro e con il triplo dei muscoli e il quadruplo della cattiveria. L’albero enorme su cui doveva trovarsi il terrazzo d’edera che ospitava Sara era qualcosa di giga enorme al cubo, immenso.
«Grunf!» Un grugnito alle sue spalle. Si girò.
«Aaahhh!»
Nella sua ancora breve vita Sara non era mai stata in serio pericolo e di sicuro mai aveva immaginato di potersi trovare un giorno di fronte a una tigre gigante dal mantello zebrato. Zebrato! Le eroine nei film avevano sempre una battuta, qualcosa tipo No, oggi non è il mio giorno per morire! oppure Assaggia la mia spada laser, belva immonda! A Sara non venne in mente altro che urlare «Aaahhh!»
E togliersi gli occhiali.
 
«Grunf!»
Niente serie tv con patatine e zero chattate sul sito d’incontri, la serata di Sara si era tramutata d’un tratto in una sorta d’incubo a occhi aperti. Gli occhiali li aveva gettati per terra, sul tappeto persiano del salotto, e lei si era rifugiata sulla poltrona, quella ereditata dal nonno, gambe rannicchiate e strette tra le braccia. Niente terrazzo d’edera e albero giga enorme e panorama mozzafiato. E neppure vedeva più la tigre zebrata, però la sentiva.
«Grunf!»
Soffiava, si muoveva, a volte le si avvicinava, sembrava disporre di casa sua a proprio piacimento. Sara aveva anche sentito arrivare Thor dall’allenamento, i suoi passi lungo il corridoio esterno, sempre più vicini al suo appartamento. Per un attimo aveva creduto che sarebbe entrato.
«Mi fai vedere come indossi gli occhiali?»
E che l’avrebbe salvata portandola via tenendosela stretta tra le braccia. Poi ecco il rinchiudersi della porta dell’appartamento di fianco e la secca urlare «Era ora! La pasta è scotta!» Fine delle speranze.
D’un tratto, la tigre s’agitò. «Grunf! Grunt!» poi una voce «Stai buona… Buona…» seguita da un ringhio più forte «Gruuuunf!» e ancora dalla voce «Va bene, ho capito!»
E d’improvviso ecco materializzarsi un giovane proprio di fronte a lei, sul tappeto persiano, accanto agli occhiali da lei gettati.
«Oh per carità! Cosa stavi per combinare! A lasciarli così in giro c’è il rischio di pestarli! E poi come faccio ad aiutarti a levarti dalle scatole il tigroide zebrato? Eh sì, perché una volta che le hai viste, quelle bestie, le continui a sentire anche se torni nella tua realtà e questo fino a quando loro non ti dimenticano e per dimenticarti devono prima perderti e per perderti devi scappare e ti dico subito che scappare da qua è un gran casino perché per perderti devono prima vederti e poi perderti nella loro realtà, quindi non possiamo scappare da qua, ma da là e questo vuol dire che se io t’avessi schiacciato gli occhiali col ciufolo che potevo farti fuggire da là perché se non li indossi non ci vai, è semplice! E scusa per questo mega giga enorme pippone che uno che s’inventa le storie potrebbe definire infodumposo, ma ho altre tre o quattro questioni da risolvere prima che cali la notte e dobbiamo sbrigarci! E dimenticavo: mi chiamo Dylan e sono “l’Agente che risolve i problemi interspaziali”! E sì, questi che indosso sono occhiali come quelli che hai trovato e li devo mettere se voglio stare di qua perché sai, io vengo dal di là! Ma, ehi, non me la stringi la mano?»
 
Finale (reprise)
«Ok, tutto a posto! Togliti gli occhiali!» Urlò Dylan.
Il tigroide stava saggiando la consistenza del ponte tibetano, cosa che lo faceva traballare ancora di più a ogni nuova, pur timida, zampata.
«Ma dove sei?» Sara era ormai al limite, nauseata dalle vertigini e spossata dalla stanchezza.
«Proprio sotto di te, avevi ragione, siamo tra due palazzoni, ma c’è anche un terrazzo. È un volo di pochi metri, ti prendo io! Lasciati andare e poi togliti subito gli occhiali, così il tigroide penserà che ti sei lasciata cadere nella sua realtà e ti considererà perduta! È l’unico modo!»
«Ma sì, al diavolo!» Imprecò Sara lasciandosi cadere.
 
Gran finale (o quasi)
«La colazione è pronta!» Le urla della secca dell’appartamento di fianco.
Sara si svegliò nel suo letto e trasalì. Si alzò e si diresse alla finestra, di fronte a lei il panorama di tutti i giorni: palazzi, strade, traffico. Normalità.
Dal terrazzo d’edera, che s’estendeva per qualche metro oltre la finestra dell’appartamento di Sara, Dylan l’osservava con occhi innamorati.
«Non è meravigliosa? L’importante era rompere il ghiaccio, stasera torno a trovarla.»
«Grunf!»
«Sì, certo, senza di te non avrei potuto neppure sperare di conoscerla: una recita perfetta. E poi, il tocco di lasciarle gli occhiali sullo zerbino… sei un genio di tigroide!»
«Grunf!»