Propensioni

Il viaggio, il cambiamento, il ritorno… E poi? Direttamente dal LABORATORIO, un racconto di Jacopo Berti.

 
Un altro brusco risveglio nel cuore della notte. Gabriella stringeva le palpebre, provava a rilassarsi, a dormire. Ma non appena prendeva sonno era di nuovo lì, sul pianeta Hawking. Brutali grandinate, impietose tempeste di sabbia. “Sollevare i pannelli! Abbassare i pannelli! — l’aveva ordinato migliaia di volte — Interrare il modulo! Emersione!”. La struttura Bioxen obbediva a ogni suo comando, mentre fuori si rincorrevano cataclismi.
Di là dalla spessa parete del modulo abitativo poteva udire un’eco lontana: era la sua voce che mormorava nel sonno. Si ridestava, scopriva di essere di nuovo a casa. Una brezza leggera faceva danzare i petali dei ciliegi nel viale alberato e le finestre cozzavano l’una contro l’altra quando uno sbuffo appena più audace spirava tra i tetti dei palazzi in stile trans-contemporaneo.
 
Hawking. Colossale deposito di terre rare e metalli pesanti. Forme di vita: nessuna. Pozze di mercurio. Tornado grandi poco meno di un continente. Come dominato da un’intelligenza malvagia, il pianeta avrebbe scatenato tutta la sua furia contro ogni base azotata che avesse tentato di diventare qualcosa che striscia, vegeta, fluttua, si moltiplica, assecondando la naturale propensione dell’universo a soggettivarsi. “Schermo anti-radiazioni! Liquido decongelante!”.
Quant’era piccola la galassia quando Gabriella era bambina. Pochissimi, eroi o folli, intraprendevano viaggi senza ritorno verso destinazioni remote tra le stelle, ma la maggior parte dell’umanità restava coi piedi per terra, nel sistema solare. Poi, proprio quando la promettente giovane donna otteneva l’abilitazione per l’astronautica civile, la velocità iperluce aveva spianato la strada allo sfruttamento degli esopianeti e spalancato le porte di altrettanti inferni.
 
Tutta la sua squadra era stata inghiottita da un improvviso inabissamento del terreno impossibile da prevedere. Hawking era crudele e astuto. Lei però era stata risparmiata, per trascorrere lì, nell’ozio e nel rimpianto, parte dei suoi anni migliori e poter ritornare infine sulla Terra, dove le vetture solari scivolavano silenziose e leggiadre sopra le città-giardino, dove le vecchie signore si affaticavano pacifiche lungo i viali, senza trovare qualcosa di cui lamentarsi. Dove nei giorni di pioggia i ragazzi correvano a casa coi droni sopra la testa, benedicendo segretamente quell’opportunità di desiderare il sole.
 
Ma lei non riusciva più a goderne. In piedi, davanti alla finestra, spiava la notte silenziosa da dietro le tende che appena ciondolavano. Tutto era così provvisorio, così futile. Hawking le era penetrato profondamente nell’anima e vi dimorava sottoforma di inquietudine strisciante, di turbamento mal sopito. Un mostro fatto di schianti inattesi e di vorticose rocce acuminate le strappava ogni speranza e lei si ritrovava a respirare affannosamente e a guardare con risentimento e dispetto i gerani che traboccavano dai balconi del vicino. A desiderare che rinsecchissero, che divenissero polvere su polvere.
 
Una notte, inaspettatamente, la sorprese il ricordo di quel giorno, quell’unico giorno, poco prima di essere recuperata, in cui su Hakwing tutto era calmo. “Apertura ingresso”. Uscì dal modulo abitativo. Trattenne il fiato, perché si sentiva respirare. La sua anima si disperse in quella splendida, infinita distesa di nulla che forse valeva tutta quella tribolazione. Poi ritornò in se stessa. Non da sola.
 
Quella notte, a quel ricordo, si alzò solenne dal suo letto e si diresse verso la porta finestra. La maschera di imperturbata dignità che aveva indossato per molti anni aveva ormai i capelli grigi. Gabriella aprì la porta-finestra e si sistemò a piedi nudi sul balcone: la superficie era intollerabilmente tiepida.
La comandante alzò le braccia al cielo, assecondando la naturale propensione dell’universo all’essenzialità.
 
Nessun urlo, un singolo tonfo, anche la strada era tiepida, detestabile. Fu come uno sbattere di imposte.
 
Dapprima tutti pensarono solo che il vento si fosse fatto appena più audace..