Quelli che guardano

Uccidere pochi per il bene di tanti, schiacciare i sogni della moltitudine per il benessere di pochi scelti. Settimo classificato nella Brambilla Edition, un racconto di Angelo Frascella.

 
Tommy aveva tenuto le foto nella cartellina per tutto il convegno. Il piano era di parlarne subito. Invece non aveva avuto il coraggio di confidarsi neppure con le persone che conosceva meglio.
Per tutto il tempo si era ripetuto che non tentare è peggio che fallire. Lo avrebbero assalito col loro scetticismo, ma non avrebbero potuto negare di fronte all’evidenza.
«C’è tempo per un ultimo intervento dal pubblico. Poi ci saluteremo e ci rivedremo l’anno prossimo.»
Con un enorme sforzo di volontà, Tommy lanciò la mano in alto: «Devo dire una cosa importante.»
Il grido aveva sovrastato i colleghi, che si erano zittiti immediatamente.
«Lei che si sbraccia e urla, venga pure avanti» disse il moderatore.
Col respiro e il battito accelerato, Tommy guadagnò il palco. Per fortuna la giacca copriva le macchie di sudore.
Si allargò la cravatta, sospirò e iniziò a snocciolare il discorso che si era preparato.
«Amici, colleghi, siamo qui per la passione che ci unisce. Lo spazio, le stelle, i pianeti. Possiamo solo scrutarli da lontano e il nero che li avvolge è la perfetta metafora di quanto poco li conosciamo. Ecco perché proprio noi astrofili dobbiamo mantenere la mente aperta e guardare alle nuove idee come un raggio di luce che illumini la nostra ignoranz…»
«Signor Costa» intervenne il moderatore sbirciando il cartellino, «la prego di fare in fretta.»
Tommy aprì la cartellina.
«Posso chiederle di proiettare queste diapositive?»
L’uomo sbuffò, prendendole dalla sua mano: «Spero non sia qui per parlarci di UFO. Siamo negli anni settanta. Siamo uomini di scienza. Non crediamo più alle favole.»
Un brusio si levò fra il pubblico: non tutti condividevano questa posizione e la cosa rincuorò Tommy.
«Questo è Marte.»
«Lo sappiamo riconoscere.»
Tommy continuò, deciso a non farsi innervosire: «Se osservate bene la parte in alto a destra, noterete un segno bianco, che non può essere che la scia di un razzo.»
«Lo sapevo! Vi prego di spegnere il proiettore. All’uscita, signor Costa, consegni pure la tessera dell’associazione. Agli altri dico, arrivederci all’anno prossimo.»
Tommy inchiodò gli occhi al pavimento. Avrebbe aspettato che tutti andassero via, prima di tornare a dare segni di vita.
«Signor Costa» disse una voce femminile, «quello che ha detto è davvero interessante.»
Alzò lo sguardo. La ragazza mora con gli occhi azzurri, che aveva notato in giro in quei giorni, era davanti a lui.
«Grazie» disse, arrossendo.
«È vero, Tommaso. Ma perché non me ne hai parlato prima?»
Anche Gianni, con cui aveva legato dal primo convegno degli astrofili, si era avvicinato.
«Ascolta» continuò Gianni, «un astronomo che lavora a un osservatorio a mezz’ora di macchina da qui mi ha invitato stasera. Vieni con me. Cercheremo delle prove più convincenti della tua scoperta.»
«D’accordo» annuì Tommy.
«Vado a prendere l’automobile. Ci vediamo qua fuori, fra mezz’ora.»
La ragazza rimase vicino a lui: «Vorrei venire anch’io. Posso?»
«Ma… La gente che dirà? I suoi genitori? Da sola. In piena notte. Con due uomini.»
«I miei sono persone moderne. Hanno vissuto in America. Per quello che riguarda gli altri, basterà che lei non dica niente a nessuno. Mi raccoglierete a un paio di isolati da qui.»
 
«È incredibile. Abbiamo le prove. Nessuno potrà prenderti più in giro.»
Gianni saltellava su e giù per la stanza. L’astronomo che li ospitava continuava a studiare le foto che avevano scattato e ripeteva: «Il Nobel. Il Nobel. Qui ci scappa il Nobel».
La ragazza se ne stava seduta con un sorriso indecifrabile.
Lo sguardo di Tommy saltellava tra l’uno e l’altro. Avrebbe voluto abbracciarli tutti. Soprattutto, avrebbe voluto abbracciare la ragazza. Lo avrebbe fatto: era il suo giorno e se lo meritava.
Si diresse verso di lei con le braccia spalancate e la vide alzarsi e aprire le proprie per accoglierlo. Le si avvicinò, sentendo il profumo dei capelli. Poi sentì una puntura sul collo, il mondo iniziò a vorticare e divenne nero.
 
Mary Jane sollevò la cornetta, indifferente ai cadaveri, compose il numero segreto e pronunciò la parola d’ordine.
Poi iniziò a dettare il rapporto: «Agente X21. Avevate ragione. Quelli che guardano iniziano a vedere troppo. Ora ce ne sono tre in meno, ma occorre agire a livello più alto. Bisogna spargere menzogna, far credere che non siamo neppure stati sulla luna. Mandate qualcuno a prendermi.»
Posò la cornetta e s’inginocchiò accanto al corpo di Tommy: «Mi dispiace» sussurrò. «Ciò che stiamo facendo lassù è troppo importante e, se i Russi lo sapessero, la vita dei coloni sarebbe in pericolo. Anche quella di mio fratello e della sua famiglia.»
Chiuse gli occhi e ripensò alla foto che la nipote le aveva mandato da Marte: lei, con le amiche, che se ne andavano in giro in bicicletta a scrutare il lancio dei razzi terraformanti.
«Stanno costruendo una nuova patria. Senza guerre. Senza nemici. Senza il bisogno di uccidere.» Ricacciò indietro una lacrima. «Un giorno li raggiungerò anch’io lassù, sai? Fino ad allora devo proteggerli.»