Questa è la verità

Realtà parallele sovrapposte in un continuo déja vu in questo racconto di Emiliano Maramonte, sesto classificato nella 125° Edizione del contest principale di Minuti Contati, con Raffaele Marra come guest star.

 
«Avete i centoni?» chiese subito il giovanotto trasandato, agitando impaziente la mano destra sotto i nostri nasi, guardandosi intorno circospetto.
Li tirai fuori e glieli consegnai controvoglia. Lui li fece sparire in una tasca dei jeans sdruciti. Nella livida luminosità del tramonto, il viottolo in cui ci aveva condotti appariva già spettrale. Lanciai un’occhiata timorosa a Sandra poi aspettai istruzioni dal ragazzo.
«Svelti, seguitemi» disse in tono urgente, aprendo con gesti rapidi un portone di legno scrostato. Strinsi il braccio attorno alle spalle di Sandra e insieme a lei entrai nella stanza.
Era piccola, umida e vuota. Una lampadina spoglia pendeva dal soffitto, colorando l’ambiente di una sofferente tinta giallognola. In quel momento mi diedi dello stupido per essermi fidato di Carlo e del suo assurdo entusiasmo per un’esperienza che aveva descritto con un solo aggettivo: incredibile! Avessi saputo prima che sarebbe stata una fregatura, l’avrei certamente preso a pugni per quello.
Il giovanotto ci dava le spalle e fissava il muro di fronte, incrostato di chissà quali innominabili sostanze. Si voltò e disse: «Cercate di stare tranquilli, qualunque cosa accada. Seguitemi e nessuno si farà male. Resteremo dall’altra parte solo lo stretto necessario. Si dice che chi ha esitato troppo poi ha perso la ragione. Per fortuna con me è filato sempre tutto liscio. Fatevi un giro ma senza esagerare. Godetevi il viaggio: ciò che credevate di sapere sta per finire!»
Si voltò ancora e restò in attesa. All’improvviso, una parte del muro diventò traslucido. Intravedemmo lo scorcio di una città in pieno giorno, animato dall’intenso viavai di automobili e persone.
«Venite» ci invitò il ragazzo. Lo seguimmo. Sensazione bizzarra: fu come oltrepassare una membrana sottilissima fatta di chewing gum. Sandra mi sussurrò che aveva paura.
Sbucammo in una città, in un giorno normale, in un’ora trafficata. Sembrava la nostra città. Anzi era uguale, tranne che per un dettaglio: i colori erano più saturi, più vividi. In che diavolo di posto ci aveva portato quel tipo?
«Ecco, ci siamo» annunciò il giovanotto, con enfasi eccessiva.
Sconosciuti ci passavano accanto come se fossimo dei fantasmi, ignorandoci completamente.
«Visto?» fece l’altro, indicando con un braccio ciò che avevamo intorno.
«Dove siamo?» chiesi sbalordito.
Un uomo ben vestito rallentò il passo vicino a noi. Mi accorsi sbigottito che mi somigliava. Aveva un’espressione turbata. Si girò lentamente, come se volesse parlarmi, sorpreso di trovarmi lì. Lo scrutai, attardandomi… Ero proprio io! Aprii la bocca per dirgli qualcosa, ma il ragazzo intervenne. «Non farlo!» Mi tirò per la giacca e mi trascinò vicino al muro. Sandra s’era allontanata di un paio di metri, attratta da una donna dai capelli rossi uguale a lei. La portammo subito via.
Rientrammo nella stanza. «Avete rischiato grosso» ci rimproverò il ragazzo. «Quelli lì devono avere solo una sensazione di déjà vu, sennò per me è finita! No mas dinero! Capito?»
Ero scioccato. Ebbi la tremenda intuizione che nulla sarebbe più stato lo stesso, d’ora in poi.
«E adesso andatevene» ci spinse via l’altro. Varcai la soglia imbambolato. Sandra aveva gli occhi persi in pensieri indecifrabili.
Fuori ebbi l’invadente sensazione di una scena già vissuta. E di una presenza vicina, troppo vicina.
Déjà vu.